A pochi giorni dall’approvazione della Legge contro lo spreco alimentare in Francia, ieri, 5 febbraio 2016, è stata celebrata la 3° Giornata Nazionale di Prevenzione allo spreco alimentare.
Per definizione il significato del verbo SPRECARE è: consumare senza discernimento, facendone un uso scriteriato o eccessivo, sciupare – non sfruttare in maniera adeguata una situazione favorevole. È un verbo dissonante se associato al cibo, bene primario essenziale, ed è proprio questo verbo che chiarisce qual è l’anello debole della filiera agroalimentare. Per cercare di arginare il problema, da anni, attivisti del calibro di Vandana Shiva, Carlo Petrini, José Bové, si stanno adoperando per portare avanti campagne di sensibilizzazione in tutto il mondo.
Questo secolo passerà alla storia anche per essere stato il secolo del paradosso: ogni anno, infatti, ci sono sempre più persone che soffrono di malnutrizione, eppure la crescita produttiva dell’industria agroalimentare fa registrare numeri da record. Al giorno d’oggi si contano 800 milioni di persone con problemi di alimentazione e la FAO stima che nel 2050 si arriverà ad una produzione mondiale di cibo maggiore del 60% rispetto a quella attuale. È chiaro, dunque, che c’è un problema. Tutto quello che viene attualmente prodotto e messo sul mercato non riesce a sfamare tutto il mondo ma, tornando al paradosso, tutto il cibo messo in commercio, allevato, coltivato e prodotto, è di molto maggiore rispetto alle bocche da sfamare. Ebbene, dov’è che finisce tutto il cibo prodotto?
Un’occasione mancata
Lo spreco riguarda le derrate alimentari destinate al consumo umano che vengono scartate dai commercianti e dai consumatori, soprattutto nei paesi sviluppati. Lo spreco alimentare, dunque, è un’occasione mancata di migliorare la situazione della sicurezza alimentare, che comporta anche un conseguente costo ambientale elevato.
In occasione di Expo è stato messo a punto dalla FAO un progetto importante, il Food Wastage Footprint, creato per quantificare l’impatto dello spreco sull’atmosfera, l’acqua, la terra e la biodiversità; oltre ad individuare i punti chiave sui quali concentrare gli sforzi al fine di migliorare lo stato attuale delle cose. Lo scopo di questo studio è globale, comprende le sette regioni produttive del mondo e l’esteso regno dei prodotti agricoli, che riunisce otto dei maggiori gruppi di produzione di generi alimentari. Il progetto ha permesso di tradurre l’impatto ambientale dello spreco in costi sociali, espressi in termini sociali.
Last Minute Market, spreco trasformato in risorse
In Italia, dal 1998, opera il Last Minute Market – Trasformare lo spreco in risorse, che dal 2003 è diventata una società imprenditoriale che opera su tutto il territorio nazionale italiano, sviluppando progetti sui beni invenduti o non commercializzati, a favore di associazioni caritative. Il progetto LMM prevede, infatti, il recupero di prodotti rimasti invenduti sugli scaffali di alcuni supermercati e ancora utilizzabili, a favore di organizzazioni sociali caritative, e la supervisione di tutte le fasi del processo di recupero: dall’individuazione dei beneficiari, alla gestione dei prodotti e la loro classificazione all’interno del punto vendita, agli aspetti fiscali-amministrativi, finanziari, logistico-organizzativi, sanitari di comune accordo con le strutture ASL del territorio. Dalla pagina web del LMM è possibile apprendere alcuni dati importanti: da una grande catena di supermercati in Italia sono state recuperate fino a 170 tonnellate di prodotti alimentari all’anno, quasi 300 pasti al giorno, per un valore economico di 650.000 euro. Gran parte dei prodotti recuperati appartengono alla categoria dei freschi e altamente deperibili (frutta, carne, latticini). Da un mercato ortofrutticolo sono state tratte in salvo 60 tonnellate all’anno di frutta e verdura fresche, per un valore economico di 138.000 euro. Un singolo centro di cottura può recuperare oltre 7 tonnellate all’anno di prodotto cotto. Otto mense scolastiche recuperano circa 8 tonnellate all’anno di prodotto cotto che corrispondono a circa 15.000 pasti. Le mense ospedaliere possono arrivare a recuperare 3 tonnellate di cibo l’anno.
Come cambiare abitudini?
Mense, supermercati e ristoranti sono i fautori principali dello spreco, ed è per questo che, proprio in occasione della Giornata Nazionale del 5 febbraio del 2015, è stata lanciata la campagna europea di sensibilizzazione “Un anno contro lo spreco”, di cui sono stati presentati ieri i risultati. In Italia si buttano nella pattumiera all’incirca 8,4 miliardi di euro; lo spreco alimentare mondiale costa ogni anno oltre 1.000 miliardi di dollari. In Francia la legge anti gaspillage (spreco) sta tentando di arginare, almeno entro i propri confini, questo enorme problema; in Italia la legge è ancora ferma in Parlamento, ma per fortuna le campagne di Last Minute Market riescono ad avere risultati interessanti. Cosa potrebbe davvero modificare il modo di selezionare i prodotti dagli scaffali? Cosa potrebbe modificare il modo in cui questi si acquistano? Cosa spinge a dover accumulare derrate che poi finiscono nel pattume? Cosa potrebbe davvero far cambiare stile di vita?
Diverse confezioni? Magari più piccole e calibrate? Uno stile di vita sano? Diete più equilibrate? Acquisti ridotti e ripetuti nel tempo? Una maggiore scolarizzazione? Cosa davvero?
Tutto è ancora da capire, e l’Italia, se davvero patria per eccellenza della cultura enogastronomica mondiale, non può continuare a chiudere un occhio su questo enorme problema, non può continuare a produrre in maniera ingiustificata, solo per rientrare nei numeri che vengono chiesti dall’Europa e da oltre oceano. Le leggi a volte restano ferme in Parlamento per anni, e non sempre si può aspettare a lungo. Solo l’amor proprio di ogni uomo, oltre a quello per il pianeta, potrebbero portare ad un cambiamento, ad iniziare dal momento della spesa giornaliera. Comprare l’essenziale e di qualità, per far si che anche le produzioni industriali vengano ridotte, questo potrebbe essere per tutti un buon inizio.
Consapevolezza genera consapevolezza e forse, quelle 800 milioni di persone, adesso, hanno bisogno proprio di questo.
Francesca Mancini