Il primo corso di informazione, conoscenza e degustazione di birra parte il 18 novembre e le iscrizioni erano chiuse sei ore dopo la messa on line del book, era gratuito. Fra gli iscritti c’è anche Luciano Di Lorito, sindaco di Spoltore, da ieri, ufficialmente, Polo della Birra Artigianale: il primo a nascere in Abruzzo.
Alla presentazione ci sono tre maestri birrai della nuova generazione: Jurij Ferri della Almond, il birrificio che 11 anni fa riaprì la porta ai malti nella regione che aveva smesso di produrre birra è lui il motore del polo, ha scritto il progetto che teneva nel cassetto da anni; Arrigo De Simone, che a Cavaticchi ha messo su il birrificio della sua Desmond e il pub dove berla e abbinarla a cibo di ottima qualità; Marco Leardi che fa la sua da De Simone, una birra “familiare”, perché porta il suo cognome, Leardi, e quello dei due fratelli degustatori con cui ha deciso di avventurarsi in questo filone dell’artigianato.
In nessun altro Comune d’Italia c’è una tale concentrazione di birrifici , succede solo in Belgio.Il Polo e non “borgo” della birra (per non assonare con una marca “straniera” di artigianale), non poteva che nascere lì.
L’idea è grande, sia in senso figurato che geografico: “Vogliamo che Spoltore rinasca nel turismo, nella cultura, nell’economia attraverso il suo talento territoriale, la birra – dice il sindaco alla presentazione del Polo, sala consiliare del Comune dove fra poco si terranno i corsi – Vogliamo che questo talento abbia un futuro, perché abbiamo la fortuna di avere grandi professionisti nel nostro perimetro comunale per costruirlo. Non è solo un’operazione di marketing territoriale che potrebbe consentirci di spiccare a livello regionale e nazionale, è un’operazione di recupero di economie che qui ci sono già e rilancio attraverso un progetto sì ambizioso, ma capace di di produrre ricadute positive anche sul turismo, sugli eventi, sulla vita del nostro Comune dove questi tre birrai hanno deciso di produrre”.
La birra è tornata in Abruzzo da 11 anni e nessuna istituzione ci aveva mai puntato fino a ieri. Strano. Ma vero. L’Abruzzo produce una birra artigianale di grande qualità, che sta scalando le classifiche del gusto e dell’apprezzamento dentro e fuori l’Italia e la Regione non la considera ancora un’eccellenza da unire alle altre. Entro l’anno i birrifici saranno 20 e nessuna associazione di categoria, ha ancora mai pensato di capire dove avrebbero potuto annoverarsi questi nuovi maestri, che non sono pochi rispetto ai quasi 600 di tutta Italia, pensate, la concentrazione maggiore è in Lombardia, dove i birrifici sono 90. Ecco, tutto questo fino a quando Spoltore, l’amministrazione comunale, ha capito.
“Faremo tre tipi diversi di percorsi, dice l’assessore alle Attività produttive Chiara Trulli – un cammino a breve, con l’apertura dei corsi che partiranno a novembre; in quello a medio abbiamo come orizzonte l’estate, perché in luglio daremo enfasi al Festival che esiste già, affinché diventi qualcosa di più aggregante, non solo per l’Abruzzo; a lungo termine vogliamo che la birra si radichi ancora di più sulla nostra cittadina e la faccia diventare il fulcro di un polo formativo, culturale, storico e per questo abbiamo attivato un cammino finanziario che guarda all’Europa per avere fondi per realizzare strutture e progetti collegati”. Fra questi c’è anche l’incentivazione alla coltivazione dei cereali autoctoni della birra, proprio a Spoltore, al centro di quella che al tempo dei romani fu la valle del farro, coltivazione che presumibilmente ha dato nome al borgo Spelt- Spoltore.
C’è anche il presidente della Camera di Commercio di Pescara Daniele Becci alla presentazione, sugli scranni si siede fra il sindaco e Marco Filippini che dovrà trovare fondi europei al progetto, poi prende la parola entusiasta: “Noi ci siamo, portatemi i progetti sulla birra, vi aiuteremo a realizzarli. Questa va trattata come eccellenza vera, non solo perché è buona, ma perché sta diventando una forza del territorio”. Finalmente!
Ma se le istituzioni lo scoprono ora, questo la gente lo sa già da tempo, perché malgrado abbia costi più alti, la birra artigianale la gente la compra. La Almond ad esempio, la prima a nascere in Abruzzo: in 11 anni dal niente è diventate una delle prime 10 birre artigianali d’Italia e fra quelle 10 è ai primissimi posti. Ma anche la Desmond e la Leardi, sono diventate birre popolari, che attirano un pubblico che va dai 18 ai 99 anni. Sono birre per tutti: maschi, femmine, grandi e piccoli. Sono birre che non stanno bene solo con arrosticini e porchetta come succede da sempre, magari, per quelle industriali: tant’è che il buffet abbinato alla presentazione e degustazione finale dell’evento porta la firma stellata dello chef Marcello Spadone, non solo quello della Bandiera di Civitella, ma soprattutto quello dell’Osteria la Corte, a un tiro di schioppo dal Comune divenuto Polo della Birra Artigianale. C’era anche la pasta Verrigni, a sposare gusti e talento.
“Quando ho cominciato mi sono chiesto: si può fare la birra in Abruzzo? Ero da solo e ho scoperto che la birra si può fare ovunque, anche se iniziare è stato difficile 11 anni fa”, dice Jurij Ferri. Il progetto lui ce l’aveva dentro, batteva da un po’ quando ha deciso che non poteva contenerlo più ed è esploso alla disponibilità del sindaco di dargli retta e spazio. “All’epoca in Italia i birrifici artigianali erano solo 4, la crescita di questi anni indica che questa realtà non potrebbe esistere se ci fossimo stati solo noi – riprende – Avevo cominciato a Pescara, ma quando ho visto questa vallata nel belvedere che c’è su in paese, sono rimasto rapito e incantato. Era quella dove cresceva il farro dei romani, una sorta di predestinazione, follemente dovevo produrre qui e così è stato, perché qui c’è un’acqua di grande qualità e la birra è al 90 per cento acqua. Qui sono nate le birre che oggi si bevono anche a New York e sebbene i premi ti fanno felice quando arrivano, ma poi finiscono nel cassetto perché contano relativamente, è bello sentire che la tua birra la bevono anche lì”. Il progetto si è composto birra dopo birra provata, premio, dopo premio accantonato, passione dopo disperazione accumulate nella vita da birraio che fra tasse, controlli e accise non è una vita facile, per niente. “Però, quando abbiamo messo on line la notizia dei corsi – riprende Ferri – dopo poche ore li avevamo già chiusi. Questo significa che la birra interessa e che è arrivata l’ora di puntarci”.
I dati parlano chiaro, li snocciola Giovanni Angelucci, penna per l’Abruzzo della Guida Birre Artigianali di Slow Food: “I birrifici in Italia sono 560, producono 4.700 posti di lavoro incrementando il tasso occupazionale del 4,4 per cento, la concentrazione massima è in Lombardia dove ce ne sono 90, producono un fatturato pari a 13,57 milioni annui, di cui 2 milioni per l’export e muovono un indotto di 144.000 addetti”. Beh, i titoli per essere considerata eccellenza ci sono. Le presenze della stampa di settore lo confermano, alla presentazione ci sono anche Antonio Paolini e Alessandro Bocchetti, due firme abruzzesi del mondo del gusto nazionale, il primo per l’Espresso, il secondo per Gambero Rosso e, da qualche giorno, Spaghetti Junction, la sua webzine. Doveva esserci anche Francesco Valentini, sì proprio sua eccellenza dei vini, che ha con la birra e con Ferri un legame di amicizia e scoperta tutto particolare.
Dicevamo. Anche se prima dell’eccellenza forse è d’uopo che venga fuori la categoria. Ed è una categoria davvero speciale, che sta all’artigianato, all’agricoltura, alla produzione, alla tipicità, alla commercializzazione e persino all’internazionalizzazione. Insomma, esula dalla figura tradizionale dell’artigiano abruzzese a cui siamo abituati. Infatti Alla domanda che tipo di artigiani siete, i birrai hanno risposto così: “Siamo artigiani astrusi – parla Arrigo De Simone – anche un po’ folli. Perché, mossi da una passione diventata professione, vogliamo e dobbiamo creare cultura sul territorio. Ed è una cultura particolare che ha i suoi tempi, i suoi ambiti e la sua storia, in pratica non c’è da nessuna parte e nessuno può insegnarla, oggi, tranne i birrai. Però io e gli altri che formiamo maestri birrai, non rilasciamo attestati, diplomi, perché da noi non esiste un polo di formazione della birra. E questo è quello che faremo”.
Gente che arriva da altri ambiti: “Io ad esempio avevo un lavoro che era molto simile a quello di un colletto bianco – aggiunge Marco leardi – mi sono messo a fare birra perché avevo voglia e bisogno di fare qualcosa con le mie mani. Questo qualcosa mi ha preso, lo trasmetto insegnando agli altri la mia cono0scenza in campo di birra e facendolo in un settore dove lo Stato manca. Non abbiamo le agevolazioni di altri settori, né un sostegno pubblico capace di consentire, ad esempio, di rendere il prezzo accessibile a tutti, per via delle accise e delle tasse che erodono margini di guadagni. Invece se lo stato ci fosse non sarebbero solo i produttori ad essere aiutati, ma anche i consumatori. Ecco è vero, siamo abbastanza folli da cominciare e continuare a produrre birra, malgrado tutto questo”.