Gli italiani risparmiano in quantità e in qualità sul cibo ma la spesa alimentare nel 2013 resta sostanzialmente stabile passando da 468 a 461 euro al mese. Lo rileva l’Istat, spiegando che a stringere di più la cinghia sono gli operai con un reddito più basso e le coppie con figli. Nel 2013, emerge dai dati, continua ad aumentare sia la quota di famiglie che ha ridotto la qualità o la quantità dei generi alimentari acquistati (dal 62,3% del 2012 al 65%), sia quella di famiglie che si rivolge all’hard discount (dal 12,3% al 14,4%). Ma soprattutto diminuisce in modo significativo la spesa per la carne (-3,2%).
In calo la spesa per beni e servizi non alimentari (-2,7%) che si attesta su 1.898 euro mensili: continuano a diminuire le spese per abbigliamento e calzature (-8,9%), quelle per tempo libero e cultura (-5,6%) e quelle per comunicazioni (-3,5%).
Nel 2013 continua a diminuire la spesa per l’abbigliamento e le calzature (da 120 euro a 109 euro), che ormai rappresenta il 4,6% della spesa totale. Nonostante il calo sia più marcato nel Nord (dal 4,8% si scende al 4,3%), è nel Mezzogiorno che più frequentemente si cerca di ridurre tali spese: piu’ di un quinto delle famiglie dichiara di aver diminuito, rispetto all’anno precedente, la quantita’ di vestiti e scarpe acquistati e di essersi orientato verso prodotti di qualita’ inferiore (contro un 17,2% osservato a livello nazionale).
Il 2013 e il 2014 rischiano di passare alla storia come gli anni dei cibi low cost. Nel 2013, quello del cibo low cost è l’unico settore a registrare un aumento delle vendite per effetto della crisi.
Questo si spiega perché, mentre per gli altri beni si può anche rinviare un acquisto, per l’alimentare i cittadini sono necessariamente costretti a comprare tutti i giorni; pertanto, non potendo tagliare la spesa, ricorrono al low cost per cercare di risparmiare. A testimoniarlo l’andamento della spesa negli hard discount che rimane l’unico canale commerciale a segnare incrementi di vendite. Negli esercizi specializzati di carne si registra una caduta di domanda che va oltre il dato stagionale. Il danno che si produce è duplice, da un lato si educa ad un consumo attento solo al prezzo a scapito della qualità e dall’altro si rischia di perdere per sempre l’attenzione al gusto e alla qualità con il rischio suppletivo di vedere allontanarsi dalle nostre produzioni tipiche molti consumatori delusi dai prodotti acquistati. Si prenda per esempio la produzione dei salumi: in presenza di prodotti a forte presenza di grassi e senza l’adeguata stagionatura il rischio vero è che il consumatore decida di non acquistarli più mettendo a repentaglio le nostre eccellenze e le nostre economie di settore. E questo è un caso replicabile su tutte le filiere. Si consiglia di verificare sempre gli ingredienti, le date di confezionamento e di scadenza, i luoghi di produzione e magari consumare meno ma mangiare meglio. Ne va della salute di tutti.
Sempre nel Mezzogiorno, aumenta, dal 17% del 2012 al 18,8% del 2013, anche la quota di famiglie che li acquista al mercato (dal 13,6% al 15,6% a livello nazionale). La quota di spesa per arredamenti, elettrodomestici e servizi per la casa si contrae ancora (dal 5,1% del 2011, scende al 4,8% del 2012 e al 4,6% del 2013), a seguito della diminuzione delle spese per elettrodomestici (lavastoviglie, lavatrice, frullatori, ferri da stiro, eccetera), per mobili e per personale domestico, in particolare quello per assistenza ad anziani e disabili.
La progressiva diminuzione caratterizza anche la spesa per il tempo libero e la cultura (la quota dal 4,2% del 2011 passa al 4,1% del 2012 e al 4% del 2013); le famiglie riducono soprattutto la spesa per praticare attivita’ sportive e per l’acquisto di articoli sportivi, per cinema, teatro, giornali, riviste, libri, giocattoli, lotto e lotterie. In lieve diminuzione anche le spese per gli abbonamenti televisivi.
Nel 2013, a seguito della diminuzione del prezzo dei carburanti, diminuisce la quota di spesa destinata ai trasporti (pari al 14,2%) che, dopo l’aumento osservato nel 2012 (quando si era attestata al 14,5%), torna sui livelli del 2011; l’andamento e’ piu’ accentuato nel Nord (dal 15,3% al 14,7%) ed è dovuto anche alla riduzione delle spese per la manutenzione e la custodia dei veicoli, per l’acquisto di automobili sia nuove sia usate e per i biglietti aerei.
Nel 2013, il 16,7% delle famiglie vive in un’abitazione presa in affitto (erano il 16,9% nel 2012 e il 18% nel 2011), sostenendo una spesa media mensile pari a 394 euro, variabile tra i 445 euro delle regioni del Centro e i 313 euro del Mezzogiorno. Tra le famiglie che vivono in abitazioni di proprieta’ (il 73,4%), il 16,6% paga un mutuo, quota pressoche’ stabile rispetto all’anno precedente. Questa voce di bilancio (che interessa poco piu’ di 3 milioni di famiglie), pur non essendo una spesa per consumi (configurandosi piuttosto come un investimento), rappresenta un’uscita consistente pari, in media, a 499 euro al mese, che sale a 510 euro nel Nord e a 533 euro nel Centro.