Ogni giorno muoiono in Abruzzo più di otto imprese artigiane. Lo svela uno studio della Cna abruzzese, che fotografa un “ritorno al passato” del mondo della piccola impresa agli stessi livelli di 14 anni fa, il 2002. Secondo l’indagine condotta da Aldo Ronci per la confederazione artigiana abruzzese, alla fine dell’anno passato all’Albo delle imprese artigiane delle quattro Camere di commercio della regione erano iscritte 33.820 imprese, con un saldo negativo tra iscrizioni (2.054) e cancellazioni (3.041) di ben 987 aziende. «Si tratta di un autentico salto mortale all’indietro – illustra Ronci – perché neppure negli anni recenti più bui, come il 2009 (quando si registrò un saldo negativo di 134 unità), il 2011 (fu di -234) e il 2012 (con -825) si erano toccate differenze negative così alte. Così, l’Abruzzo diventa un vero e proprio “caso” nazionale, visto che la caduta percentuale delle nuove imprese artigiane è del 2,81%, contro la media nazionale del -1,94%. Peggio dell’Abruzzo hanno fatto soltanto due regioni; in tre anni si toccato il fondo, con una flessione di ben 2.448 imprese attive e di circa 6.400 occupati».
L’ondata di cancellazioni delle piccole imprese ha caratteristiche “epidemiche”, non risparmia nessuna delle quattro province, mette d’accordo aree urbane e periferie, zone costiere ed entroterra: Chieti, Teramo e L’Aquila decrescono più vistosamente, rispettivamente di 324 e 294 e 251 unità, Pescara più lievemente: di 118. In valore percentuale, le imprese artigiane decrescono più che in Italia (-1,94%): Chieti, infatti, segna una flessione di -3,24%; Teramo di -3,22%; L’Aquila di -3,17%. Solo Pescara decresce in maniera meno vistosa, con una diminuzione pari a -1,46%, più bassa di quella italiana.
Tra i settori produttivi, a fare le spese dell’ondata di cancellazioni sono state soprattutto le imprese edili, che restano tuttavia quelle più numerose, con 12.641 aziende: con 592 unità (e nonostante l’esistenza dell’enorme cantiere aquilano per la ricostruzione), guidano la classifica degli addii. Seguite dall’industria manifatturiera (-207) che registra cadute particolarmente significative nell’abbigliamento (-43), il legno (-38), la lavorazione dei metalli (-37). Quanto agli altri comparti, male i trasporti (-71), le riparazioni di auto e apparecchi per la casa (-57), gli altri servizi (-50). Unica eccezione di un serbatoio produttivo un tempo fiorente, ma oggi attaccato alla bombola dell’ossigeno, l’area delle piccole imprese specializzate nella riparazione e installazione di macchine, con +20 unità.
Tra le ragioni più strutturali della crisi dell’artigianato, secondo l’analisi della Cna viene al primo posto il ritardo con cui, in Abruzzo, sono stati affrontati i temi delle specializzazioni produttive, del sistema distributivo, dei processi d’innovazione e delle potenzialità di esportazione del mondo delle micro-imprese: «Per superare questo ritardo bisogna fornire alle micro-imprese strumenti conoscitivi e obiettivi strategici per la valorizzazione territoriale e settoriale delle attività produttive, per la creazione di percorsi d’innovazione, per riuscire a migliorarne la competitività».
«Un bollettino di guerra». Così il presidente regionale della Abruzzo, Italo Lupo, commenta i dati relativi all’andamento dell’artigianato nel 2013. «Sarà il caso di suonare la sveglia alla nostra classe politica, a tutti i livelli, locali e nazionale” ha attaccato Lupo “perché l’intero terreno su cui è costruito l’albero su cui si è appollaiata, distante dal sentire delle persone normali, sta franando”. “Occorre intervenire invece” ha proseguito “con misure straordinarie, tanto sul piano degli incentivi – promuovendo cioè i processi di internazionalizzazione, riaprendo i rubinetti del credito, perché non è possibile che la lobby delle banche tenga in pugno tutta l’economia – quanto su quello dei disincentivi. Penso al proliferare della grande distribuzione, che soprattutto nell’area Chieti-Pescara sta desertificando i centri cittadini e determinando la morte di decine e decine di piccole imprese”.
Graziano Di Costanzo, direttore regionale della Cna, ha ricordato l’incidenza della pressione fiscale, soprattutto a livello locale sullo stato di salute delle piccole imprese: “L’anno passato si era chiuso con aliquote Imu, applicate alle attività produttive, raddoppiate rispetto alla vecchia Ici. Il nuovo anno parte con la tassa sui rifiuti, la Tares, che moltiplica per tre le vecchie aliquote. So che moltissime imprese non saranno in grado di pagare; gli enti locali, se non vogliono distruggere la nostra economia, devono cambiare strada, aggredendo con serietà e decisione la jungla della spesa pubblica, e tagliando con decisione costi improduttivi e inutili”.