Poesia e genialità che si parli di melanzane, scampi o mandorle. La lezione è di Niko Romito, chef tristellato, che con la sua essenzialità, il minimalismo e l’esaltazione del gusto ha affascinato la platea di “Meet InCucina”, l’evento che si è tenuto presso la Camera di Commercio di Chieti e che ha ospitato i cuochi più rappresentativi della cucina in Abruzzo
In un silenzio rotto solo dagli applausi, Romito ha illustrato il suo concetto di cucina che vede sempre in primo piano il gusto, dove gli ingredienti non vengono stravolti ma rispettati, dove non si affollano molteplici sapori, dove la tradizione conta, si, ma non può essere un limite all’innovazione e alla tecnologia.
Riconoscere ciò che si mangia
“Parto sempre dal principio che bisogna riconoscere ciò che si mangia ” ha affermato rispondendo alle sollecitazioni della giornalista Francesca Piccioli, che lo ha intervistato sul palco. ” Il pubblico medio ha paura della nostra ristorazione non per il prezzo ma perché non riconosce quello che mangia. Nella mia cucina faccio sempre andare avanti il piatto. Non faccio soffritti, non utilizzo grassi, non c’è un affollamento di ingredienti, ne uso uno, due, al massimo tre che si combinano, il minimo errore può rompere l’equilibrio che dipende dalle temperature, dalle cotture, dalla geografia del cucchiaio, dalla direzione cioè con cui si mangia un piatto. E’ un equilibrio millimetrico. E’ difficile immaginare che, a volte, per realizzare un piatto ci vogliono anche tre mesi “.
Ingredienti essenziali, dunque, come nelle tagliatelle raccontate dallo chef con l’aiuto di un video, dove le teste di scampo ridotte a crema vengono mescolate con la farina perché “non mi piace quel sapore di uovo ” che caratterizza la pasta, o dove la stessa pasta viene utilizzata per ritagliare i ravioli con un ripieno solo a base di code del crostaceo. Tutto in perfetto equilibrio, in armonia, anche nel complesso rapporto tra tradizione e innovazione. “La tradizione deve esser rispettata, ma siamo nel 2015, la cucina ha fatto passi da gigante e i cuochi hanno iniziato ad usare la testa” ha aggiunto. “Se si prende spunto dalla tradizione si hanno due strade da percorrere: quella dell’innovazione oppure bisogna saper attualizzare l’alta cucina tradizionale riaggiornandola ogni due anni. Innovare non vuol dire stravolgere, non vuol dire fare cose strane, vuol dire soprattutto portare nel piatto la materia prima con delle complessità incredibili, lavorando sulla forza del prodotto, rispettando il produttore e chi mangia. Sotto questo aspetto la cucina diventa difficile, complessa non complicata. Credo nella cucina apparentemente semplice, lineare, che racconta un territorio, un gusto, che riesce a creare delle emozioni partendo da una materia prima a base semplice che è tutto quello che l’Abruzzo ci può dare però con qualità”.
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