La prima cosa che ti stupisce quando entri nel suo ristorante sono i colori, le fotografie attaccate al soffitto, i ricordi di più esperienze disseminati intorno ai tavoli. La seconda cosa che ti colpisce quando parli con lui è la sua vita vorace, solo 38 anni e tante cose fatte: traguardi, premi, ristoranti, piatti, sfide, figli, idee, filosofie, il modo apparentemente folle di testare prodotti da dare ai clienti e quello ancora più insolito di aggiornarsi entrando nelle cucine dei ristoranti che ama come aiuto cuoco o persino lavapiatti. Perché Silvano Pinti è così, prendere o lasciare. Ma se lo ascolti bene ed entri nella sua filosofia di cucina, sa stupirti con il suo modo semplice di intendere la ristorazione.
Infatti il suo Ristorante da Silvano a Francavilla richiama tanta gente a pranzo e a cena. E’ un ristò popolare per scelta: “Perché la cucina deve essere povera, alla portata di tutti – dice mentre ci invita ad entrare a “casa sua” – Io accolgo le persone per farle mangiare bene e farle alzare soddisfatte, come se fosse a casa”. Si parte da qui, anzi no, dal fatto che giovedì sarà in gara alla Prova del Cuoco e per sostenerlo bisognerà votarlo quando eseguirà i suoi due piatti di sfida: ha scelto pesce, una zuppa di Francavilla e un baccalà all’Aquilana. Per votare lui bisogna chiamare il numero 894222 codice 01 oppure inviare un sms al 4784784 codice 01. “La Rai 1! E mi hanno cercato loro, questo è il bello, anche se la cucina ti può portare ovunque, è un lasciapassare grandioso. Io ho portato una “callara” persino sopra un palcoscenico e durante uno spettacolo. Nessuno mi ha fermato, quando mi si sono ritrovati sul palco gli ho dato il piatto e gli ho detto: to’ assaggia”.
E subito dopo la Clerici, porterà piatti e pentole a Sanremo, per la sua “Casa Sanremo”, dove vorrebbe portare con sé anche una bella rappresentanza di prodotti tipici: “Aiutatemi a trovarli – ci chiede – Facciamo un appello ai produttori, quella è una vetrina straordinaria, l’Abruzzo non può mancare e io ci vado anche per questo”. Vetrine che lui crea, perché alla mediaticità ci tiene parecchio. E’ su Rete 8 e Teleponte con due rubriche di cucina in cui racconta il territorio attraverso piatti di sua creazione, dove lo chiamano lui va e si racconta attraverso centinaia di possibilità di creare dalla tradizione e dagli insegnamenti di sua Nonna Rosa qualcosa di buono da mangiare che possa permettersi chiunque. Semplice!
Nasce a Pizzoferrato, da famiglia di ristoratori, ma nella sua esistenza, come detto, non si è fatto mancare nulla. Ed è un’energia che lo ha portato fuori casa a 14 anni, in America, in Germania, in sud Europa a cucinare, ad avviare locali, 28, precisa, a cercare un modo per incanalare tutta quella voglia di cucinare che aveva in corpo. Poi, circa 4 anni fa, è tornato a Francavilla e ha messo un freno: “Per ora, a me piace cambiare”, spiega mentre compone una panzanella con il pane fatto in casa con le patate di casa, i pomodori presi dai suoi orti familiari e l’olio, anche quello della sua terra, Pizzoferrato, un paese che a fine estate gli ha dato la cittadinanza onoraria (leggi il nostro pezzo), mandandogli persino la banda paesana a festeggiarlo fra i tavoli del suo locale! “E’ stato bello, anzi, bellissimo, ne sono stato davvero onorato, significa che qualche cosa di buono l’ho fatta”, si schernisce. Ha studiato a Villa Santa Maria e Pescara, si è perfezionato ovunque gli sia capitato di lavorare nel mondo e quando ha deciso di tornare, ha scelto le cantine da portare nel locale facendo il bracciante alla vendemmia di quelle papabili, grandi o piccole, onorevoli e super onorevoli, le ha girate così: “Volevo vedere come facevano il vino e quelle che mi hanno convinto quando sono stato un loro operaio per come realizzavano il prodotto, ora sono qui”. Dice che è assurdo pagare il quadruplo un piatto fatto con ingredienti poveri, così serve antipasti da tagliare a fette direttamente sui taglieri ai tavoli, carni da spadellare da soli, come abbiamo fatto noi con la sua “rivotica” di cif e ciaf di maiale, pizze extralarge di cui viene a chiedere lumi se tornano indietro sbocconcellate, perché con la gente a lui piace parlare. Non solo di cucina.
“Sapete perché ho attaccato le fotografie al soffitto? – indica una serie di ritagli di giornali e ritratti di personaggi anni ’80 che guardano la sala dall’alto – Perché spesso mi sono ritrovato a guardare coppie che si sedevano e restavano mute finché non arrivava qualcosa da mangiare. Con quelle foto si distraggono, ne parlano, si divertono e mangiano meglio perché interagiscono di più. Non si può venire al ristorante senza scambiarsi emozioni su quello che succede intorno, su quello che mangiano. Io li ho aiutati”.
Il suo motto lo ha impresso in uno spot cinematografico che lo ritrae da bambino e poi adulto a inseguire l’idea di una cucina “semplice”. E’ una semplicità che non è “popolare”, ma voluta, perché i premi che ha portato a casa, lo hanno visto alle prese con prove da chef, quale oggi è, perché in cucina ci lavora e guai a definirlo imprenditore: “Io cucino – sottolinea – perché è il mio talento. Vedete questo cif e ciaf? Tolto da questa pentola e composto in un piatto diventa un’altra cosa alla vista, ma questo non significa che sia più buono dell’originale, per di più è maneggiato di più di quello in pentola. E’ solo la forma che diventa diversa, la sostanza è la stessa e a me interessa quella”. Una tensione verso il centro delle cose che gli fa fare anche altro nei ritagli della sua giornata lavorativa di 18 ore, ad esempio il volontario fra i clown che operano nei reparti di Pediatria a Pescara, perché lui è qualificato anche nell’assistenza sanitaria. Passioni “semplici”, direbbe lui, cucina e vita e l’amore per la Germania dove ha lasciato cuore ed esperienza culinaria importanti: “Da lì mi sono arrivati importantissimi attestati di stima e riconoscimenti professionali. Io ho fatto ovunque quello che mi piace fare, cucinare, evidentemente qualcuno lo ha capito e ancora mi ricorda. E questo è davvero bellissimo”.
(Foto Di Peco)