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“Stava seduta questa creatura, sopra la pietra;
e non poté levarsi ché i piedi eran piegati. Disse: “Aligi, mi riconosci?”.
Io dissi: “tu sei Mila”. E non parlammo più, ché più non fummo due.
Né quel giorno ci contaminammo né dopo mai.
Lo dico in verità.”
“La figlia di Jorio”, Gabriele d’Annunzio.
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Sono Francesca, ventottenne archeologa, figlia, attratta, gasata, strega, consumatrice critica, amante e brigante. Qui dentro trovate le mie passioni.
Le mille e una sfoglia di Lama dei Peligni
Ho deciso di aprire questa rubrica raccontandovi il mio piccolo paese e cercando in ogni modo di emozionarvi, proprio come lo sono io in questo momento. Un paese piccolo, vero, ma ricco; ricco di personaggi genuini, storia, arte e buona cucina.
Bene, si parte, la prima tappa è Lama dei Peligni.
Come non iniziare da qui. Del resto le Grotte del Cavallone, a cui Francesco Paolo Michetti si è ispirato per la scenografia del secondo atto della tragedia dannunziana più fortunata, “La figlia di Jorio”, fanno parte del territorio lamese e di Taranta Peligna.
Situate a 1475 metri sul livello del mare, le grotte de “La figlia di Jorio” possono essere raggiunte grazie ad una cestovia che oltre a farvi risparmiare tanta fatica, vi permetterà di godere del panorama offerto dalla valle di Taranta Peligna e dalla cavea della Majella, che si concede gradualmente e senza asperità ai vostri occhi e già da lontano, soffermando lo sguardo sull’apertura, si nota benissimo l’occhio del cavallo, creato da un gioco di luci e ombre, incastonato nella parete rocciosa con il suo prominente muso.
Queste grotte sono note sin dal XVII secolo e la prima esplorazione è stata documentata nel 1704.
Dopo aver affrontato ben 174 scalini, accuratamente scavati nella roccia, si arriva all’ingresso della grotta di origine carsica; essa è l’unica grotta speleologica visitabile nel cuore della Majella e il suo percorso si estende per più di due chilometri con una galleria principale e tre secondarie. Si attraversano diverse sale come quella di Aligi, delle Sentinelle, degli Elefanti, dei Prosciutti, nominate così dalle forme che l’acqua, corrodendo la roccia e trasportando sedimenti calcarei, ha creato.
L’altitudine e le particolari condizioni climatiche e ambientali all’interno della grotta richiedono un abbigliamento da montagna. Le Grotte del Cavallone sono fruibili da aprile fino a settembre.
Scendendo dalla grotta e continuando il cammino, tra resti di villaggi neolitici e della Roma Imperiale, antichi culti erculei in grotta e soffermandosi sulla devozione dei lamesi nei confronti della piccola statua del Bambin Gesù, ritenuta taumaturgica per aver salvato il paese dalla pestilenza, arriviamo a Lama dei Peligni.
Situato a 669 metri sul livello del mare e incastonato come una gemma alle pendici della Majella questo piccolo paese deve il suo nome ad un toponimo di origine prelatina – lamatura – che significa letteralmente “terreno dove l’acqua ristagna”.
Tralasciamo, per il momento, le bellezze storico-artistiche del borgo, perché voglio farvi venire l’acquolina in bocca con un prodotto tipico della tradizione lamese: la SFOGLIATELLA.
Parlando di sfogliatella l’immaginazione ci porta subito in Campania, a Napoli. E in effetti non siamo proprio fuori strada, ma com’è nata questa tradizione?
Agli inizi del 1900 la moglie del Barone Tabassi, Francesca D’Antonio, originaria di Santa Maria Capua Vetere, portò in dono alla nuora, Donna Annina di Guglielmo, la ricetta della sfogliatella napoletana. Proprio nelle cucine del Palazzo del Barone, Donna Annina, che aveva una passione sfrenata per la cucina, decise di modificare quella ricetta in base ai suoi gusti e agli ingredienti disponibili in quel periodo e soprattutto a Lama dei Peligni. Fu così che eliminò la ricotta e la sostituì con della tipica marmellata d’uva, la ragnata, marmellata di amarene, caffè, cacao amaro, noci, biscottini secchi e mosto cotto, tutto appositamente fatto cuocere a fuoco lentissimo per diverso tempo ed ottenendo così un composto denso dal profumo irresistibile.
Per me quello è il profumo tipico del Natale, il profumo inconfondibile che invadeva letteralmente casa di mia nonna, china per giorni e giorni sul suo tavolo, in cucina, a preparare questi piccoli capolavori, ognuno diverso dall’altro, ma con un ben definito sapore, quello della tradizione, della povertà, della vita contadina, del fuoco e dei Natali nevosi a Lama.
Un’altra modifica fondamentale che apportò Annina fu l’utilizzo dello strutto per la sfoglia; sì, lo strutto, presente in tutte le case contadine, rese la sfoglia più morbida e friabile. Di forma ovale, la sfogliatella, quando esce dal forno, ha un caratteristico colore dorato, oltre all’incomparabile fragranza. La realizzazione di questi manicaretti non è affatto semplice, l’impasto ottenuto, dopo aver riposato, va tirato con il mattarello fino a quando non si ottiene una sfoglia unica dallo spessore di pochi millimetri, poi è il momento dello strutto, del raffreddamento, del taglio dei rotoli, del riempimento con la marmellata, della chiusura e la cottura.
Le sfogliatelle per diverso tempo sono rimaste un segreto del palazzo, offerte solo agli ospiti di rango, fino a quando negli anni ’60, il cuoco, non decise di rivelare la ricetta ad alcune signore del paese che facendola passare di bocca in bocca, la resero di dominio pubblico.
Negli ultimi anni a Lama, una piccola impresa femminile ha deciso di dedicarsi alla lavorazione di questo prodotto, rendendolo disponibile per tutto l’anno e cercando di farlo conoscere ad un pubblico molto più ampio, uscendo fuori dalla circoscrizione lamese.
Si tratta del laboratorio artigianale de “I segreti di Donna Anna”.
Mariangela, 28 anni come me, nonché mia cara amica, ci spiega com’è nata questa piccola impresa.
“L’idea di realizzare un laboratorio in cui produrre la Sfogliatella di Lama dei Peligni è sempre esistita ed ha coinvolto indistintamente tutti i componenti della mia famiglia. Cinque anni fa, un finanziamento della Regione Abruzzo all’imprenditoria femminile, è stato l’evento casuale che ha fatto si che l’idea diventasse realtà. Gli elementi fondanti del progetto imprenditoriale sono stati e sono tutt’ora: il marchio, la tradizione e la qualità eccellente del prodotto. Cerchiamo di comunicare al mercato l’unicità di questo prodotto e la sua raffinatezza anche attraverso la selezione degli ingredienti e dei processi di lavorazione, in cui la manualità delle massaie di un tempo continua a rivivere giorno dopo giorno.”
Mariangela prosegue facendoci notare che ciò che le spinge a voler continuare questa tradizione sono l’amore e la passione che hanno avuto sempre le donne della sua famiglia per la cucina e il territorio. “In realtà prodotto e territorio costituiscono due elementi strettamente interconnessi. Il prodotto può dare visibilità al territorio, attraverso le proprie tradizioni e la propria cultura, ed il territorio può valorizzare se stesso attraverso le proprie tipicità tramandate di generazione in generazione fino ai nostri giorni.”Proprio come Donna Annina, anche le cuciniere de I segreti di Donna Anna, hanno dovuto apportare delle modifiche alla lavorazione e alla conservazione del prodotto, in modo da renderlo disponibile in tutte le stagioni e non solo in quella invernale. Questo grazie all’aiuto di tecnologie che consentono il condizionamento dei locali e la refrigerazione del prodotto semilavorato nelle fasi che precedono la cottura.
Da qualche anno questo tiaso sta ricevendo importanti riconoscimenti ma non un’ approvazione “slow food”.
“La “Sfogliatella di Lama Dei Peligni” ha già un importante riconoscimento. Questa produzione è riconosciuta quale PRODOTTO TRADIZIONALE DELLA REGIONE ABRUZZO e in quanto tale è compreso nell’Atlante dei prodotti tipici della Regione . Tale identificazione è di grande rilievo in quanto è una denominazione riconosciuta a livello europeo. Il prodotto potrebbe fregiarsi di ulteriori marchi, per es. IGP (Indicazione geografica protetta), l’unico problema è rappresentato dal costo del marchio non giustificato da una quantità tutto sommato contenuta della produzione. Lo stesso discorso vale per il “PRESIDIO” in ragione sia dei costi che di una disciplinare di produzione molto stringente, soprattutto nella parte riguardante la provenienza delle materie prime, a prescindere dalla qualità delle stesse.”
Bene, in quest’epoca del cake design, la tradizione può ancora vivere e ricevere importanti riconoscimenti. Cerchiamo di conservare la nostra cultura, la nostra storia, le nostre tradizioni e anche le piccole imprese. Tanti piccoli borghi abruzzesi rischiano di scomparire pur nascondendo al loro interno realtà vive, che cercano di venir fuori dalla massificazione delle multinazionali e dall’isolamento dell’entroterra.
Imparando dal passato può esserci un futuro migliore.
Francesca Mancini, studentessa