E’ un anno particolare per i Cuochi di Villa Santa Maria. Questo ottobre cade il 450esimo dalla nascita del loro Santo Patrono e concittadino, Francesco Caracciolo. E’ poi il 35esimo ottobre della Rassegna che li riunisce e li celebra, in occasione del compleanno del Patrono. E’ l’anno in cui un cuoco è diventato sindaco di Villa Santa Maria, in cui un cardinale per la prima volta ha partecipato alla solenne cerimonia di consegna dell’olio votivo e che delle cuoche hanno portato la statua in processione, che per tradizione era sempre stata portata da uomini. Tutto questo rende speciale la due giorni culinaria che si è aperta ieri e che culminerà oggi con i concorso per il Cuoco Doc e lo storico buffet servito lungo le vie principali trasformate nell’interminabile tavolata di uno speciale ristorante.
Per questo nella cucina dell’Associazione c’è un grande fermento da un paio di giorni. E’ un grande privilegio poterlo raccontare. Grande almeno quanto la semplicità con cui i Cuochi di Villa Santa Maria hanno aperto le porte di quella cucina in cui da ore e ore si sbuccia, si taglia, si affetta, si amalgama, si frigge, di scalda, si impasta, si impana, si mischia, si cucina tutti insieme, perché tutto vada per il meglio.
“E’ un’alchimia fantastica che ritroviamo intatta ogni volta che arriva il momento della rassegna, un evento che ci fa lasciare tutto il resto e che per tre giorni ci fa scoprire quanto è bello cucinare”, dice Nicola Smigliani, è lui che di quella cucina ci apre le
porte. Una carriera universitaria attiva, la passione della cucina che lo accompagna da sempre e che ogni anno lo porta lì, in quella cucina, insieme a tutti gli altri cuochi che finiscono la stagione e prima del riposo fanno l’ultima maratona, la Rassegna dedicata a San Francesco Caracciolo. Il fermento di quel luogo invade tutta Villa Santa Maria, con un girare di Ape car su cui frotte di giovani volontari, il mitico Gruppo Spruzzo, portano di tutto: tavoli, panche, viveri, altoparlanti, strumenti musicali.
In comitiva verso l’ora di pranzo scendono lungo la discesa che porta alla cucina: “Che si mangia?”. La tavola è imbandita per un break veloce, piatti di carta, posate di plastica, si butta una pasta per mangiarla insieme e mentre loro si rilassano chiacchierando, si socializza.
“Questa rassegna era un modo per ritrovarsi – spiega Tommaso Sboro, coordinatore dell’eccezionale brigata di cucina che ci accoglie e che è il cuore dell’evento, a cui arrivano cuochi da tutta la regione, quest’anno ci sono anche quelli della Ciociaria – Finite le stagioni i cuochi villesi mostravano quello che avevano imparato, cucinavano per celebrarsi e per celebrare la passione comune, quella per la cucina che è la nostra storia, da sempre”. Da quando il concittadino Santo e la sua famiglia scoprirono la vocazione villese per la cucina. Colpito dalla lebbra Ascanio Caracciolo guarì miracolosamente, da allora fece voto di povertà, sfamò i poveri, scegliendo gente del posto che potesse cucinare loro, ci raccontano i cuochi più anziani. La sua famiglia, di origini partenopee scoprì quanto fossero bravi in cucina i villesi, e cominciarono a farli lavorare nei palazzi nobili di Napoli. La tradizione pare nacque così, e a Villa, era quasi il ‘600, venne istituita la prima scuola di formazione per cuochi della penisola Italica, l’Alberghiero che da sempre è un motore per l’economia del territorio e il futuro di tante generazione di giovani villesi e non solo.
“Fare il cuoco è uno stile di vita – continua Sboro, villese doc, che si prepara a prendere le redini dell’associazione appena il mandato del presidente storico, Domenico Di Nucci sarà terminato – Senza passione non ci riesci. Questo mondo dà lavoro a chi ci vuole entrare veramente, di tutti gli iscritti solo il 5/7 per cento poi decide di entrarci e chi fa questa scelta lavora e può addirittura anche scegliere se lavorare in Italia o fuori, ha un futuro, insomma”. I ragazzi quest’anno sono aumentati, arrivano a 700 e vengono da tutto il circondario e da fuori regione, perché la formazione lì ha un valore tutto particolare.
“I cuochi Villesi sono noti in tutto il mondo – aggiunge Marco Di Santo, altra presenza storica di quella brigata – ma questa rassegna è l’unico appuntamento che ci raduna tutti. E’ un modo divertente per stare insieme e per dare alla cucina di ognuno di noi un significato corale”. Dopo anni si torna al vecchio buffet, caldo e freddo, piatti che sono un viaggio nella storia dei cuochi villesi, a cui si aggiungono un’altra componente storica delle tavolate del passato, i decori. In cucina ci sono due artisti veri della rassegna. Uno è Santino Strizzi, lo chef-cuoco intagliatore capace
di trasformare ortaggi, verdura e frutti con straordinari ricami, lo troviamo alle prese con una laboriosissima zucca mentre altri cuochi lavorano sui pomodori. L’altro è Davide Pellegrini, insieme a lui ci si aprono le porte del frigorifero della cucina, dove sono riposte le sue sculture di
margarina: “C’è San Francesco Caracciolo – illustra – Papa Francesco che quest’anno va alla grande e questa sirena, su cui ho lavorato giorni perché venisse speciale per l’occasione. Una volta queste sculture non mancavano mai nei buffet. Possono resistere ore sul tavolo e una volta finito l’evento tornano in frigo e si conservano finché si vuole. Richiedono applicazione, ma è un piacere farli perché la nostra tradizione vada avanti”.
Quest’anno è speciale anche perché a consegnare l’olio votivo al Santo sono stati i cuochi Abruzzesi. Già, perché questo è un gesto che ogni 13 ottobre onora delegazioni da tutta l’Italia. Il cielo mostra nubi, ma una sorte benigna accompagna la festa: “Sì, 35 edizioni, mai nessuna rinviata”, sentenzia orgoglioso il presidente dell’Associazione Cuochi della Val di Sangro, Domenico Di Nucci. Dopo anni di cucina in tutto il mondo ora si occupa di banchetti, li organizza: ogni anno cucina quintali e quintali di cibo per cerimonie, anniversari, eventi e forma anche generazioni di nuovi talenti: “La cosa che ci piacerebbe davvero – sottolinea a tavola – è creare un flusso continuo di turismo intorno a Villa. La religione è un canale forte e sentito. C’è San Francesco che visita i cuochi in tutta Italia e al ritorno accogliamo le delegazioni delle città che ne richiedono la presenza per una settimana. Questi viaggi sono importanti perché creano un movimento che può salvare il futuro di territori come il nostro che hanno sempre vissuto di questo. Qui, ogni famiglia vanta almeno due generazioni di cuochi e storie di cucina e passioni con cui si potrebbero scrivere enciclopedie”. A tavola scorrono aneddoti e ricordi fra le orecchiette al sugo di funghi, la pancetta di vitello glassato e la frittata arrotolata. Domenico racconta di un alterco con un cucoco francese, era ad una gara a Perugia, dove lui si esibiva con le polpette cacio e ove: “Ma lui voleva scrivere per forza boulette de fromage, gli chiesi perché le escargot si dovessero chiamare escargot e non lumache, ma lui niente, alla fine dovetti minacciarlo: si nin scriv pallotte cace e ove ti tire na’ firzole sopra la cocc (testuale: se non scrivi pallotte cace e ove ti tiro un padella in testa). E si convinse”.
Mentre si parla arriva un signore piccolo e ridanciano, è Luigi D’Abbenigo, un pezzo di storia. Quanti anni ha? “Eightyfive”, risponde in perfetto inglese, perchè per 24 anni ha vissuto a Londra e lavorato in un grande albergo, dove era saucier, salsiere: “Ma facevo di tutto – dice – In Abruzzo si faceva la fame, coi soldi che guadagnavo a malapena pagavo le spese. Lì, invece ho fatto fortuna, avevo una casa grandissima che mi è dispiaciuto lasciare, ma mia figlia era in Italia e io e mia moglie, quando sono andato in pensione, abbiamo deciso di tornare nel 1985. Solo che lei è morta due anni dopo che siamo rientrati e io sono rimasto solo, insieme alla famiglia di qua. A cucinare non cucino più, mi riposo, ma ogni anno a questi gli vengo da’ una mano”. Gira per il paese in attesa dell’apertura della Rassegna, saluta tutti e trova sempre il modo di fare battute.
La fame. Uno spauracchio abbastanza forte per decidere di cucinare per vivere: “Se non diventi ricco almeno mangi”, si diceva a chi sceglieva di fare il cuoco. Ma cucinando la passione non si limita solo al bisogno di mangiare, diventa uno stile, quello che fa grande l’Abruzzo e la sua cucina nel mondo. Ne sa qualcosa il sindaco di Villa Santa
Maria che per la prima volta nella storia del paese dei cuochi è un cuoco. Giuseppe Finamore, Pino, entra in cucina scherzando con tutta la brigata. Da 23 anni è cuoco della Camera: sotto i suoi occhi si sono avvicendati presidenti, deputati, personaggi della storia politica italiana ed estera con i loro gusti, coi vezzi alimentari, la voglia di mettersi alla prova. E’ sindaco da maggio scorso: “E’ un ruolo che mi responsabilizza molto – dice – e ci tengo. Alla cerimonia di apertura della rassegna pensavo che questo anno è quello di tanti primati: i 450 anni, il primo cardinale che ci benedice, il primo sindaco cuoco. Sono tutti segnali emozionanti che mi motivano ancora di più a far conoscere questo posto e la sua particolarità, perché continui ad alimentarlo”.
Villese di nascita, a Villa ha deciso di restare a vivere, facendo il pendolare con Roma per tutto il tempo. Cuoco di nascita, ha deciso di diventare anche lui cuoco come suo nonno, suo padre e il fratello, chef in Brasile. E ha cucinato e cucina per i presidenti di turno della Camera, conservando ricordi speciali: “La Iotti era una vera signora – narra – amava le minestre, non eccedeva mai nel chiedere. La Pivetti aveva una passione per le verdure, mentre la Bindi ama tantissimo cucinare. Di Bertinotti ricordo la moglie che disponeva tutto ciò che doveva mangiare il marito e quando capitava che lei non c’era, lui ci chiedeva di assaggiare cose proibite. Così anche Scalfaro con la figlia. La Boldrini è una persona di grande discrezione, ma oggi sulle Camere si sente fortissima la spinta a risparmiare, si avverte il momento di crisi. E come amministratore posso dire che questi anni di contatto con la politica mi hanno formato, dandomi una consapevolezza piena sulle cose e sul futuro dei territori come il nostro”. Il futuro di Villa è scritto nel turismo che la sua amministrazione sta cercando di sollecitare e nei servizi ai cittadini, perché il territorio non sia sguarnito di nulla, essendo una zona interna. La cucina? E’ il suo talento maggiore: “Puntiamo su quella perché il mondo in cui ognuno di noi si trova a contatto diventi un volano potente, segni positivamente la nostra economia”.
La rassegna si è conclusa domenica, con il famoso buffet, esposto alle 19, la proclamazione del Cuoco Doc di Villa e la concelebrazione eucaristica per il 450esimo di San Francesco Caracciolo di cui è stato inaugurato un museo, con
monsignor Bruno Forte. Due giorni in scena con i piatti di una tradizione che fa battere dal 1978 il cuore culinario dell’Abruzzo e anima giovani e vecchi talenti della cucina con migliaia di ricette che hanno un denominatore comune che le rende uniche al mondo, la qualità.
(Foto Di Peco)