Se per la formazione di uno scrittore è indispensabile la conoscenza della letteratura russa dell’800 e ‘900, beh, per quella di un cuoco non è pensabile ignorare la cucina francese di quegli stessi anni. Parola di Lorenzo Pace, presidente dell’Associazione Cuochi di Pescara dal 2007. Con l’Associazione l’Abruzzo è Servito inizia un viaggio tecnico nel mondo della cucina, un percorso che sarà fatto di ricette (come quella in evidenza oggi), di informazioni, di conoscenza e di storie, che si apre con quella di un cuoco nato e cresciuto a Spoltore, motore e voce della categoria, perché attraverso la cucina abruzzese arrivi ai palati anche la qualità di cultura e territorio che stanno dentro e dietro ogni piatto.
Una cucina fatta di lavoro e regole, prima fra tutte il rispetto per i ruoli. “Oggi la cucina è estremamente esaltata, il nostro mestiere è ambito, gli chef sono “famosi”, carismatici. Sono contento che i riflettori si siano accesi – chiarisce subito – ma mi viene da pensare a secoli passati, quando i cuochi erano segregati dentro quattro mura a cucinare, senza gloria, solo fatica, a meno che non fossero a servizio di personaggi famosi o storici. Certo questa ribalta è giusta, ma non bisogna eccedere, perché la cucina è arte, anche se adesso fa tendenza e ora molti si improvvisano cuochi, alimentando miti distanti dalla realtà. Con le guide è nata la cucina stellata, un modello enfatizzato dal punto di vista mediatico, al punto da indurre chi guarda con interesse il settore a pensare che quella sia la cucina vera, la cucina che viene prima. Ciò non toglie però che questo ci ha permesso di elevarci. Niko Romito come primo stellato e oggi unico tre stelle d’Abruzzo è stato la punta di un iceberg di tutto rispetto: con Tinari, Spadone, Pezzuto, Fossaceca e Zonfa, Elodia e tutti gli altri stellati che abbiamo. Oggi si parla dell’Abruzzo anche grazie a questo manipolo di cuochi che fanno cucina di avanguardia legata al territorio e che ci ha permesso di essere presenti nel panorama nazionale e internazionale. Ma la gente non può pensare che la cucina sia solo quella, la realtà non è così. Quella è una cucina certamente di grande valore, che ci promuove come Paese e come categoria, ma nella realtà è una cucina di nicchia”.
Istituto alberghiero di Pescara, la formazione tecnica di Pace il Cuoco, scelta per entrare in un mondo che negli anni ’80/’90 offriva grandi opportunità, diverse. Diploma nel 91 e poi lavoro: stagionale, stanziale, ramingo, dentro e fuori l’Abruzzo, verso la Romagna, la regione dell’accoglienza con la A maiuscola. Diversi anni con i grandi maestri di banchetti di Camplone, poi le cucine del ristorante Dama a Chieti Scalo e oggi la scelta di contribuire alla formazione di altri cuochi. “E’ stata dettata anche dal ruolo di rappresentante della categoria – riprende Lorenzo Pace – Quando mi sono iscritto all’Alberghiero non avevo ben chiaro cosa fare in futuro, ma era la norma, perché la scuola ti formava su tutto ciò che riguardava la cucina: dalla selezione dei prodotti alla realizzazione dei piatti, non su singoli aspetti come capita oggi. Ed era una cucina classica la base della formazione, quella internazionale stile 800/900 francese che dà ad un cuoco i rudimenti che non possono mancare. In pratica ti consegnava ad un mondo in cui trovare una strada che fosse la tua. La cucina del territorio è una branca, anche perché nella formazione di un cuoco è naturale adoperare ingredienti a chilometro zero”.
Lui non ha una cucina, ne ha tante, perché è docente di laboratori, corsi, come quello regionale per giovani cuochi, REST Abruzzo, ed è il coordinatore di una brigata speciale, quella dell’Associazione Cuochi di Pescara che dal 2007 è il suo impegno di trincea. “L’Associazione usciva da un periodo difficile, c’era bisogno di una svolta – racconta – e il nuovo corso lo abbiamo costruito insieme noi cuochi pescaresi, mettendo in comune esperienze, storie, conoscenze, creando opportunità e sinergie in un momento difficile anche per chi fa questo lavoro. Perché non lasciatevi ingannare dalla televisione: fare il cuoco non è facile, né è scontato riuscirvi. Gli alberghieri, poi, si sono riempiti di aspiranti cuochi che una volta formati hanno ingrossato le file della categoria. E così succede che nella realtà ci sono tanti professionisti che per lavorare devono muoversi di cucina in cucina, mettendo a disposizione il proprio talento. Il lato positivo è che in periodi come questo dalla condivisione nascono idee e nuove attività fra cuochi. In pratica l’Associazione è diventata un punto di riferimento per la formazione, per gli eventi, e sono tanti, a cui i cuochi abruzzesi e pescaresi prendono parte come ambasciatori veri della cucina regionale e internazionale, per la formazione e l’aggiornamento della categoria, due elementi essenziali per fare buona cucina. Questa nuova ottica non solo ha attratto tanti professionisti verso l’Associazione, ma ne ha fatto un luogo in cui potevano nascere collaborazioni e sfide professionali del tutto inedite. E di questo sono felicissimo”.
La sua specialità è il territorio. La scelta di ingredienti che hanno una storia culturale, colturale e anche sociale e la realizzazione di piatti che non siamo un mix di tutto, ma che dosino l’identità abruzzese e la salubrità del mangiare: “Buono e sano non è un obiettivo, né un filone della cucina: è, o, meglio, dovrebbe essere, la cucina – sottolinea – La valorizzazione dei prodotti tradizionali e tipici, inoltre, ci consente di aiutare la filiera, fatta di piccoli produttori, contadini, pescatori che fanno qualità ogni giorno e non hanno ribalte. Si dovrebbe fare sistema perché il territorio venga pienamente rappresentato in un piatto, ma noi cuochi da soli non bastiamo, c’è bisogno di un progetto politico che metta insieme tutto quello che può contribuire a far parlare e far conoscere il territorio attraverso l’enogastronomia, un ruolo che spetta alle istituzioni”.
Non dategli dello Chef , perché da formatore vi dirà che quello dello Chef è un ruolo apicale e non sempre realizzabile oggi, malgrado il termine sia molto frequentato: “Lo Chef, che è una figura specifica nella brigata di cucina – spiega Pace – perché è una persona che ha una lunga esperienza e un grande talento tali da essere in grado di coordinare e gestire sia il lavoro di tutti i cuochi sotto di lui che tutta la cucina. E’ il capo di uno staff nutrito. E in una ristorazione gourmet, stellata, creativa, seria, l’organizzazione è gerarchica e
ferrea. Spiego meglio: lo chef crea un piatto che la brigata di cucina deve riproporre sempre come la prima volta, un duplicato perfetto in forma e sostanza, a meno che non sia l’autore a cambiarlo. Per questo in cucina c’è pressione, più il ristorante è prestigioso, più l’organizzazione è “militare”. Ma per quanto sia stressante, invasivo, imponente, è un lavoro che dà sfogo a tanti talenti”.
Il suo è emerso grazie a cardo e fagioli, un piatto che gli è valsa la vittoria dell’edizione 2006 de Lu Carrature d’Ore, concorso nato nel lontano 1988 per mettere in luce i cuochi professionisti e sfidarli proprio sul chilometro zero: “I creatori del concorso furono lungimiranti, perché con largo anticipo lanciarono e premiarono la cucina del territorio e non l’arte della cucina in genere – conclude – E la cucina del territorio è una cucina in continua evoluzione: il piatto della vittoria l’ho cambiato tante volte, perché il territorio consente abbinamenti di sapore, di consistenze, di cromaticità che possono essere sempre nuovi, grazie anche alle tecnologie di cui possiamo usufruire oggi. Il buono e sano di cui parlavo prima lo è ancora di più con i forni che consentono di cuocere a vapore o a bassissime temperature: è la cucina moderna”.
Il piatto della tradizione? Non ha dubbi, i maccheroni alla chitarra: i cuochi abruzzesi hanno di recente costituito un Ordine dei Cavalieri dei Maccheroni alla Chitarra per la tutela e la promozione del piatto abruzzese per e dell’eccellenza e a febbraio ci saranno le prime onorificenze. Quello del cuore, invece, le sagne con il pomodoro a pera d’Abruzzo, aglio, olio e basilico. L’ingrediente abruzzese principe? Lo dice laconico: “Sicuramente lo zafferano che dovremmo sostenere di più perché è prezioso per la cucina, in quanto la attraversa da antipasti a dolce e oltre, ed è vitale per la storia e il futuro di una coltura che è l’Abruzzo e che l’Abruzzo non può perdere. Sarebbe bello fare un ricettario, costruirlo perché lanci dignità e sapore dei piatti a base di zafferano d’Abruzzo, il nostro biglietto da visita enogastronomico più famoso al mondo”.