Negli stand di Anteprima Montepulciano d’Abruzzo può capitare di imbattersi in una tranquilla coppia israeliana, che qualche anno fa, in cerca di una casa da comprare fra i colli aprutini, assaggia il vino che nasce fra quelle colline e se ne innamora. Troveranno la casa, con quel vino brinderanno al matrimonio della loro figlia, a Gerusalemme e gli apriranno una strada, perché è buono. Ma quando chiedi cosa piace loro oltre al vino abruzzese, la risposta è capace di mozzare il fiato in gola: “E’ una regione selvaggia – dicono in un sorridente inglese – che non si è sviluppata, per questo i suoi borghi sono così belli, sono rimasti antichi ed è una regione dove si sta bene, perché i turisti non la conoscono affatto, qui si può girare, perché malgrado ci sia tanta bellezza, non c’è la massa”.
Fra i corridoi della rassegna che chiude i battenti proprio oggi nel Centro espositivo della Camera di Commercio di Chieti c’è un traffico di giornalisti e operatori del settore oltre alla nostra, suo malgrado spietata, coppia. Buyers, anche stranieri, cantine, oltre 50 da tutto l’Abruzzo, una sala di degustazione pronta per assaggiare il Montepulciano di stagione, anche se per il rosso, dicono, conviene aspettare, ma è per capire come crescerà. Fra quei corridoi ci sono tante storie, che sanno di terra e di vino e c’è la realtà di un Abruzzo che attraverso questa sua identità può aprire le porte al mondo, perché divenga una regione conosciuta, più conosciuta di quanto lo sia ora.
E’ qui che rivediamo un promotore instancabile dei territori d’Abruzzo, l’enologo Vittorio Festa. Ha dalla sua una serie di speciali primati: il primo spumante Doc metodo classico fatto fare ad una Cantina sociale, il 36 di Eredi Legonziano, il Santagiusta, ovvero le prime bollicine d’alta quota fatte produrre ad un’azienda agricola senza cantina, Vigna di More adottata da
Marchesi De Cordano e poi lo spumante biologico di Iasci e Marchesani il primo, non ancora etichettato, ad essere realizzato col riesling e lo spumante che ha incantato un palato nobile come quello di Luca Maroni, l’analista dei sensi citato sulla Treccani, imbottigliato dalla cantina Terzini, giovanissima. E si potrebbe continuare, citando tutte e 25 le cantine che compongono il suo puzzle professionale. Un puzzle messo insieme pezzo per pezzo da un figlio d’arte, sì, ma con l’intuito del genio: tutti i vini che si propone e propone di fare non assomigliano, ma dentro hanno il territorio da cui sono generati.
“Non sono le cantine che mi propongono di realizzare un prodotto, sono io che mi presento ogni volta con una sfida nuova a qualcuno che potrebbe raccoglierla – si schernisce fra un calice di cococciola e la pashmina color cielo e vinaccia – Fino ad ora ha funzionato, perché funziona la squadra. I vini che abbiamo realizzato con l’associazione messa sù in questi anni, Origini, hanno preso premi e stanno girando il mondo. Specie gli spumanti, che sono speciali perché li facciamo con tecnologie all’avanguardia e in Abruzzo: dalla vigna al bicchiere”.
Come detto sono circa 25 le cantine che segue, da ognuna, per sua stessa ammissione, cerca di tirare fuori prodotti non massificati che stanno sfondando non solo dentro l’Italia, ma fuori: in Germania, Usa, Canada e Cina. “Mi sono accorto che stavamo avendo successo quando dalla Cina mi hanno chiesto di rifare un vino che avevo fatto io – racconta – Mi hanno portato la bottiglia insieme alla richiesta di un vino identico a quello! Che soddisfazione eh? Il bello, invece, è trovare novità, cercarle nei profumi della nostra terra e cercare di trasferirli nei vini, nella storia di cui ogni cantina è portatrice. Se soltanto l’Abruzzo puntasse su questo, gran parte di promozione sarebbe fatta. Invece si tratta il vino come prodotto, non come veicolo e rimaniamo in trincea, con i produttori, a cercare di aprire strade per far prendere il volo alla qualità di cui siamo portatori, investendo su una commercializzazione che potrebbe e dovrebbe essere più aiutata, sostenuta. Incredibile! Come il fatto che in Abruzzo oggi c’è una vivida sperimentazione in campo enologico e arriva da imprenditori giovani, magari di seconda o terza generazione, ma che hanno deciso di investire sul vino e farlo attraverso prodotti riconoscibili, non massificati. E per riuscirci fanno investimenti, si impegnano, studiano, senza aspettarsi dalle istituzioni trattamenti particolari, perché non accade mai”.
Una visione lucida della realtà, capace però di inebriarsi parlando dei prodotti e delle sfide ancora da fare: “Ci aspetta il Vinitaly – conclude – e poi un particolare progetto che presenteremo in occasione di Ecotur a Lanciano, si chiama Enotria, una realtà che vorremmo portare avanti, insieme diciamo ad una nuova filosofia di produzione. Ma le mete da toccare sono ancora tante, una in particolare, che non cito per scaramanzia, mi sta particolarmente a cuore, perché, spero, risolleverà un vitigno davvero speciale”. Se ci riuscirà l’avremo nel bicchiere.