[box_light]Pubblichiamo oggi il racconto di un nostro lettore che si ispira all’antica tradizione, che si aveva nei borghi dell’interno dell’Abruzzo, di colorare le uova sode nei giorni della Pasqua, e di farne dono ai bimbi. Ciò si otteneva mettendo nell’acqua di ebollizione materiale vegetale che trasferiva il colore al guscio che lo assorbiva. Per esempio le bucce delle cipolle rosse o le violette. E tra il profumo dell’agnello e quello della stufa a legna, ci si scambiava semplici gesti di affetto, nel rispetto della tradizione. Un patrimonio fatto di ricordi e sensazioni da custodire nella memoria e nel cuore.[/box_light]
Le ove tente d’ Pasqua
Le ultime ad arrivare, la mattina di Pasqua, erano le ova tente d Zi Flipp d Taverna nova. Ormai le campane suonavano a festa e in casa mia, come in quelle di tutto il paese, si spandevano nell’aria i tradizionali ed ottimi profumi della coratella di agnello, che mia madre faceva cuocere lentamente sulle fornacelle, mentre nel forno della stufa a legna incominciava a rosolare il cosciotto con le patate. In questa atmosfera arrivava lui, ormai sull’ottantina, nel suo volto risaltavano gli occhi piccoli e vispi ed un paio di baffi che lo rendevano austero. Saliva a piedi alla sua età, come se niente fosse, con il vestito di velluto marrone della festa con tanto di panciotto e orologio al taschino. Filippo era uno degli ultimi testimoni della Transumanza per anni su e giù per il tratturo, con le sue pecore, tra l’altopiano di Navelli e la Puglia. I suoi racconti rapivano la mia fantasia di bambino, anche, se a dire il vero, il suo scarso udito rendeva a volte molto divertente il dialogo. “So pers la ‘ntesa” diceva.
Nel giorno di Pasqua, fino a che ha potuto, prima di andare in chiesa per la messa, passava a farci gli auguri e, come prima cosa, tirava fuori dalle tasche della giacca 3/4 uova sode colorate che erano il suo dono per i più piccoli. Poi, in cucina, si intratteneva con suo nipote Dantuccio che, a quell’ora, era già alla sua seconda se non terza colazione di Pasqua con il tradizionale salame, pizza e uova sode. Ricordo la sua gioia, direi che era contento come una Pasqua, ogni volta che riceveva visite e poteva condividere uno spuntino e un buon bicchiere di vino. Ma, se le uova sode colorate di Filippo erano le ultime, le prime erano sicuramente quelle di zia Ada e zia Colorinda che, di solito, erano le prime a farci visita e scambiavano con piacere quattro chiacchiere con mamma Maria, non senza aver portato il tradizionale pacchetto di zucchero, di caffè e la colomba. Ricordo la loro allegria, l’ironia di zia Ada ed i sorrisi e la voce allegra di zia Colorinda che, dandomi le uova, mi spiegava i suoi capolavori. La tintura più comune era quella fatta con le bucce delle cipolle rosse, che davano un colore più o meno intenso al guscio, mentre le più ricercate e particolari erano quelle colorate con le violette e, in queste, zia Ada e Colorinda erano maestre. Le avrò ricevute sicuramente anche da altri, ma queste che ho raccontato mi sono rimaste particolarmente impresse nella mente. Voi direte: che sarà mai.? Certo che al giorno d’oggi farà sorridere, ma chi li ha vissuti sa invece che erano gesti intrisi dei profumi autentici dell’affetto, della umanità e della devozione alle tradizioni, che nessun progresso e tecnologia saprà mai riprodurre. Auguri
A.C.