Aveva una casa tanto vicina al mare che d’inverno temeva venisse spazzata dalle mareggiate. Quella vicinanza si è riproposta non solo nel ristorante che ha aperto a vent’anni, proprio a un passo dalla spiaggia dove aveva rischiato di nascere, sua madre era a pesca di vongole, no, si è ripresentata con la cucina del Café Les Paillotes, dove Moreno Cedroni ha preso le redini per un giorno, per l’iniziativa A cena con le stelle che il ristorante ogni anno porta avanti, proponendo menù di chef stellati a prezzi meno stellari, perché l’eccellenza sia a portata di più gente possibile.
“Cosa mi piace mangiare in Abruzzo? Gli arrosticini!”, dice lo chef della Madonnina del Pescatore, sì, proprio lui, quello del ristorante di Senigallia che nel 2011 è stato indicato dal Wall Street Journal tra i primi dieci ristoranti europei di pesce! Facezie a parte Cedroni si dice subito estimatore della nostra cucina: “Siamo fratelli, così vicini, con territori così simili. Vengo spesso a trovare degli amici, i Verrigni della pasta, poi Niko Romito, mi piacciono molte delle vostre ricette – ma se cerchi di metterlo alle strette e gli chiedi allora qual è il brodetto che preferisce – Ma lo sanno tutti! Quello di Mamma Santina!”
La storia dello chef marchigiano è movimentata, allegra e nota, lui l’ha raccontata anche in un libro, Maionese di fragole, in cui spiega le vicissitudini della cucina attraverso l’esperienza di papà di Matilde, la sua assaggiatrice ufficiale, anche. E racconta della sua infanzia in riva al mare, del pesce pescato, di quello mangiato, di una mamma, Santina, che è stata la sua ispiratrice e il suo primo critico accreditato, l’autrice del famoso brodetto di pesce con la spruzzata di aceto che ha fatto da volano a molti piatti del figlio, una volta chef. Insomma: gli anni da cameriere prima di entrare in cucina, la voglia di proporre qualcosa di nuovo, la sfida a superare confini e limiti della creatività culinaria, accostando sapori, odori, proteine e persino esperienze culinarie diverse. “Sì, prima di cucinare ho voluto fare esperienza in sala, sentivo che era la cosa giusta da fare in quel momento – spiega Cedroni prima di mettersi all’opera – Per entrare in cucina mi sono preparato, ho fatto corsi Ais, ho studiato e nell’88, 29 anni fa, quando mi sono stancato di veder servire sempre le stesse cose, mi sono messo la giacca e ho cucinato ed è nato il mio ristorante”.
Studi tecnici, il Nautico, ma quel talento naturale per la cucina, esploso in un piatto che era tutta una premessa di che tipo di chef sarebbe diventato: “Preparai un millefoglie di code di rospo e coniglio con salsa di potacchio (pomodoro) – dice sorridendo – E’ stato il primo piatto in cui mi sono applicato appena messa la giacca. Venivo da una cucina di tradizione, ma la voglia di stupire è un modo di innovarla, la tradizione. Sì e anche per sfatare l’immagine che la cucina italiana evoca all’estero, quella delle tovaglie a quadretti bianche e rosse e dei sughi, mentre quando si parla di cucina francese, per esempio, la raffigurano con tovagliati lunghi, tavole da sogno. No, la cucina italiana deve cambiare il suo modo di presentarsi fuori dall’Italia, io ci provo, anche in questi tempi difficili, in cui, a volte, vedi solo pochissimi coperti in giro”. La cucina, il territorio, il carattere dello chef che traduce cultura e passione in piatti unici, o in prodotti unici. Cedroni è anche Anikò, la salumeria ittica dove trovi conserve, confetture, salse, sali, salumi di pesce, pasta libri, “cibo immortale” prodotto nella sua Officina. Ed è Clandestino, il “susci” bar, luogo di crudi mediterranei, che si distinguono da quelli orientali anche perché son scritti senz’acca apposta. Insomma, un grande carattere.
E poi tantissimi riconoscimenti e una vita piena di studio, di esperienze, di mondo: oltre alle due stelle Michelin, il Sole di Veronelli, le Tre Forchette per l’olimpo del Gambero Rosso, i Tre Cappelli per l’eccellenza dell’Espresso e lo svedese Kungsfenan Seafood Award e poi, nel 2011 l’inserimento della Madonnina del pescatore fra i primi dieci ristoranti europei di pesce.
“E’ vero, ti cambia la vita ed entri in un vortice dove pensare a tutto diventa indispensabile: la qualità dei prodotti per tenere alto il livello dell’offerta – illustra – il servizio, gli impegni e le cose a cui sei costretto a rinunciare, com’è accaduto a me con l’insegnamento del mestiere, lo studio costante perché devi tenere alta l’innovazione, non basta stupire, bisogna andare avanti. E’ impossibile avere tutto e subito, ma sono fortunato, perché la passione che avevo dentro ha trovato il modo di uscire – aggiunge – mi rendo conto che per i giovani che aspirano oggi a lavorare in questo mondo è più difficile, perché la vita non gliela fa provare: la fortuna si conquista con impegno, creatività e tanto lavoro. Che non è la stessa cosa che aprire un winebar, come capita oggi a chi non vuole aspettare”.
Già, lui non è convinto che l’enogastronomia salverà il mondo in crisi: “Sarebbe bello se l’Italia avesse leggi diverse sul lavoro, capaci di proiettarlo verso il futuro – conclude congedandosi – e sarebbe davvero bello se tutti tornassero alla terra, ma non per aprire agriturismi. Sarà difficile un cambiamento vero, e questo futuro io non lo vedo qui”. Saluta, indossa la giacca e con il sorriso che lo accompagna sempre entra nella cucina abruzzese che lo ospita e impartisce direttive allo staff del ristorante che risponde con una serie di “Sì Chef”, netti e lapidari, da cui percepisci in modo chiaro il rispetto del talento vero.