I ricordi sono tutti ancora vividi nonostante l’età, ricordi spolverati di zucchero e farina, ma anche consumati dalla fatica e dal duro lavoro. Eppure, i racconti di Giovanni Caramanico, 82 anni, di San Giovanni Teatino, sono pervasi dalla passione, l’amicizia, l’entusiasmo, la creatività; sacrificio e privazioni non si avvertono. Per trent’anni, questo nonno con lo spirito di un giovanotto, ha fatto il pasticciere, soprattutto per Tullio Camplone, un personaggio che ha segnato la storia della pasticceria a Pescara, papà di quel Fabrizio che oggi conquista premi internazionali con le sue creazioni e che ha decretato il successo, ormai consolidato, di Caprice, tappa obbligata a Pescara per tutti coloro che non possono fare a meno di dolciumi e gelati di qualità.
Giovanni con le sue competenze e la sua fantasia, ha ideato, sempre in collaborazione con Tullio Camplone, dolci capolavori come la “La Presentosa” e la “Torta Florita”, che fanno ancora parte delle “specialità della casa “della pasticceria di piazza Garibaldi. Non ha seguito corsi, master, ha imparato sul campo, restando chiuso per ore e ore nei laboratori dove lavoravano i maestri, spiando le loro preparazioni, carpendo ingredienti, quantitativi e ricette, perché nessuno era disponibile a svelarli. “Ho iniziato a lavorare come barista a 16 anni nel locale di Giuseppe Camplone” racconta seduto a un tavolino di Caprice, accanto alla figlia Bianca. “Lo sa come si diceva ai mie tempi? Al barista per la fame s’appanna la vista. Anche a me s’appannava! Così ho ottenuto di andare anche al laboratorio di pasticceria, mentre il pomeriggio distribuivo i gelati al bar. Anche se venivo dalla campagna avevo già la passione per la pasticceria. Volevo imparare il mestiere e l’ho imparato. Sono riuscito a rubare i segreti dei maestri pasticceri. Non era semplice perché quando pesavano gli ingredienti, si mettevano davanti alla bilancia per non farmi vedere i quantitativi. Mi lasciavano fare solo la manovalanza, riempire i bignè e le sfoglie, ma a poco a poco ho imparato tutto, anche a fare il gelato”. Giovanni ha la testa dura e tanta passione e non esita quando arriva l’occasione di cominciare a lavorare sul serio.
A contattarlo è Tullio Camplone, che ha già un bar in piazza Garibaldi e un laboratorio in via Catone ed è in procinto di aprirne un altro in via Sacco. Giovanni accetta, lascia l’attività di Giuseppe Camplone e inizia a lavorare per Tullio. “Il laboratorio è partito da zero, con me e qualche ragazzo” ricorda “Avevamo un banchetto, un fornetto, una sfogliatrice e uno sbattiuova. Ma piano piano siamo arrivati a fare 4-5mila paste al giorno”.
Nel laboratorio nascono “La Presentosa”, il dolce ricoperto di cioccolato e la “Torta Florita” con glassa di pistacchio e copertura cioccolato fondente, che rendono famosa la pasticceria di piazza Garibaldi. Ma soprattutto nasce una grande amicizia tra Giovanni e Tullio. Giovanni sente il laboratorio come una cosa sua, e Tullio lo considera un fratello e gli dà carta bianca.
“Facevo un dolce, lo assaggiavo, se andava bene veniva portato in pasticceria, altrimenti non lo facevo uscire. Ma riusciva sempre bene!” dice Giovanni con un pizzico di orgoglio “Andavo sempre con Tullio alle fiere a Milano, curiosavo tra i prodotti presentati dalle grandi industrie dolciarie. Una volta vidi una torta con le noci sopra. Mo che torno devo rifarla, pensai. E così ho fatto. E’stato un boom, era squisita, era la fine del mondo. Quello che potevo carpire con lo sguardo, lo rubavo, il resto lo inventavo”.
Passione, creatività e tanto lavoro. Giovanni, impara anche a fare i panettoni dopo aver conosciuto una maestro pasticciere di Milano che gli dà lezioni per una settimana . “Nel periodo natalizio “ racconta, “mettevo a fare il lievito durante il giorno. Di notte Tullio vedeva se era pronto così mi chiamava al telefono e io correvo ad impastare i panettoni”. I dolci prendono forma tra le sue mani dopo ore e ore trascorse tra lieviti e farine, vicino ai forni. Nel fine settimana Giovanni va in laboratorio poco prima della mezzanotte e fa quattordici, quindici ore di lavoro, nei giorni normali le ore scendono a dieci. Bacchetta gli apprendisti perchè è esigente, vuole che tutto sia pronto in pasticceria per le 7.30. Poi torna a casa, dalla famiglia, dalla moglie e dalle due figlie gemelle, a riposarsi. Ma inizia a soffrire di asma bronchiale, ha un’allergia alla farina e alle polveri. Deve ridurre l’attività, lavora solo il sabato e la domenica, poi, nel 1987, smette definitivamente, con grande dispiacere di Tullio Camplone, e passa il testimone a Fabrizio. A lui, solo a lui, svela le ricette che ha custodito (e che custodisce ancora) gelosamente sotto chiave e in codice. Sono contenute in un “libro” che ha tenuto sempre in laboratorio, con le dosi studiate e “sudate” nel corso del tempo. “Fabrizio per me è come il padre” dice con una punta di commozione e tanta gratitudine. “E’ bravissimo come pasticciere e come imprenditore, ha una grande umanità e un grande cuore. Una volta è andato a fare una dimostrazione a Pineto, quando è salito sul palco gli hanno chiesto chi era stato il suo maestro e lui ha fatto il mio nome facendomi commuovere.”.
Giovanni ora prepara dolci e rustici per familiari e amici, le dosi e gli ingredienti li svela occasionalmente solo alla moglie. Ha ancora tanto entusiasmo e tanta passione e se non fosse stata la malattia a fermarlo, sarebbe ancora lì nel laboratorio di via Sacco, a impastare torte e presentose. Ci va due volte la settimana, da pensionato, il martedì e il giovedì, a prendere il caffè con Fabrizio. “Ma se lui non c’è non lo prendo e lui ,se non ci sono io, non lo prende” dice felice per questa complicità. Perché l’affetto è tanto, unito all’amicizia, al rispetto. Gli stessi sentimenti che lo hanno legato per moltissimi anni a Tullio Camplone e che oggi nutre per il figlio Fabrizio. “Compro i dolci e il gelato solo da Caprice” afferma senza esitazione. “Non riesco a mangiarne altri. Fabrizio fa una produzione che nessuno fa a Pescara, con grande attenzione alla qualità. E poi, ogni volta che modifica un dolce, mi chiama per farmelo assaggiare, anche se lui adesso è molto più bravo di me”. E il cake design? Giovanni mi guarda, sorride e scuote la testa, non è il suo mondo.
[box_light] [toggle_simple title=”Dormiva in laboratorio tra i panettoni” width=”Width of toggle box”][/toggle_simple]”La prima volta che sono stato accanto a lui ho fatto i cannoncini, avevo 18 anni.Nel periodo natalizio, quando tornavamo a casa, intorno alla mezzanotte, lo trovavamo a dormire nella stanza calda del laboratorio in cui si facevano i panettoni. E’ l’immagine di una persona dedita al sacrificio. Anche a San Giuseppe, lo ricordo tra montagne di scatole riempite con le zeppole, e la figlia che era ancora una bambina che lo aiutava a mettere le amarene.” E’ il ricordo che conserva del maestro pasticciere Giovanni Caramanico, il suo erede, colui che ha ricevuto il ricettario segreto, Fabrizio Camplone che ancora oggi, a lui chiede consiglio quando inventa dolci nuovi. “Ha sempre avuto molto rispetto del lavoro, mio padre aveva delegato a lui tutta la produzione. Questo modo di lavorare improntato sulla fiducia, oggi non è più attuabile perché non c’è più la passione di una volta e la cura per la qualità degli ingredienti“[/box_light]
(per le foto si ringrazia Fabrizio Camplone)