La casa farmaceutica per la quale lavorava si preparava a risolvere i rapporti con molti dei suoi referenti, respirava questa possibilità da un po’ e a casa, per rilassarsi, aveva coltivato una passione, quella per la birra artigianale. Quando Arrigo De Simone fece il grande passo era ormai pronto a cambiare vita e nel 2009 la sua nuova vita aveva il nome di una delle prime birre artigianali abruzzesi e lui non era più un biologo informatore scientifico, ma un birraio, alchimista di malti e di nuovi progetti.
La Desmond a Spoltore è nata così. E per uno strano gioco del caso, ha incrociato i destini di altri due biologi, Virgilio Saggese e Pasquale Paravia, quando dietro al birrificio, due anni fa, è nata prima l’Associazione Desmond Drew Pub e poi il pub che gli ha dato il nome. Il luogo del Festival della Birra Artigianale che prende vita da quattro anni a Cavaticchi di Spoltore, richiamando altri birrai artigiani, appassionati e talenti locali.
“Quando sono stato messo alla porta mi sono messo a fare la birra in casa, già lo facevo da un po’, visto che avevo anche tempo … – racconta Arrigo, a tavola, durante l’allestimento del Febar, con tutto lo staff e i birrai ospiti – Visto che era buon ho continuato e messo su il birrificio qui a Spoltore. Mi interessava l’acqua che c’è qui, da biologo riesco a scegliere bene gli ingredienti, a me serviva una certa linea d’acqua, più dolce, per fare la birra che avevo in mente, che è quella che oggi vegete”. Una vita cambiata completamente:
le cotte di birra in costante aumento, più ne faceva, più piaceva, dice ridendo, la presenza iniziale a festival, fiere e iniziative di settore, la scelta di presenziare solo Pianeta
Birra a Rimini, quando non è servito più fare le trottole portando alto il valore e la storia di un marchio che ormai si era affermato. “Rimini ci ha dato grandi soddisfazioni – spiega – l’anno scorso ha decretato la nostra Badaben la migliore birra dell’anno ed è stato un bel risultato. Si chiama così perché sembrava avere un sapore preciso, estivo, ma badaben badaben, riusciva a stupire e ad avvicinarsi al nostro progetto, che era quello di fare una birra leggera, che potesse piacere a tutti. Infatti tutti la chiedono”.
Il mistero di quella birra si rivela mentre la beviamo per accompagnare il menu costruito da Virgilio Saggese, l’altro biologo della storia. Ha origini campane, due anni fa ha deciso di appendere la valigetta al chiodo e cambiare vita, radicalmente: “Quella vita mi andava stretta, lo so, sembra folle, ma un trasferimento mi ha aperto un’altro mondo, quello abruzzese. Una mattina il mio capo mi chiama e mi prospetta di trasferirmi, c’erano tante possibilità, fra cui la costa abruzzese, mi fa scegliere e vengo a vivere qui in pochissimi giorni e mi segue anche la mia ragazza, quella che sarebbe di lì a poco diventata mia moglia, anche lei ha lasciato tutto. Questa regione mi incanta, la passione per la cucina che mi portavo dentro esplode, incontro Arrigo che oltre ad essere collega e amico aveva aperto il birrificio e gli chiedo: posso venire anch’io, vengo a cucinare! Il Pub è nato subito dopo. E ora io realizzo piatti che mi navigano nella testa, creati con la birra, perché con tutto rispetto, il signor vino è un patrimonio, ma alla birra cosa vogliamo dire? La proponiamo da bere, ma anche da mangiare, perché in moltissimi casi addirittura esalta sapori e proprietà”. Al pub è valsa una discreta notorietà in soli due anni di vita: la citazione su Foodies del Gambero Rosso, la visita di un enogastronomo del Gambero Rosso di New York, poi il premio per la birra, insomma, soddisfazioni.
Anche perché lì la birra, come detto, non si bene soltanto. E’ è il condimento del suo famoso stinco con salsa alla weiss, tanto tenero da sciogliersi in bocca, è la base di cottura delle carni che si mangiano nel pub, è l’ingrediente segreto di dolci fantastici, come il gelo limone e birra, ribattezzato Dolce Piera per le mani che lo hanno fatto, per il Birramisù, ma soprattutto il “Birrao” che potrete assaggiare solo da loro perché è nato così, per caso: “Avevamo finito i birramisù, tante gente ci chiedeva il dessert, panico! –
racconta Virgilio – Portatemi birra scura, cacao, zucchero, panna e granella di nocciole, facciamo…. il birrao (birra-cacao) con cioccolato di pasticceria e anche questo è piaciuto”. Sul menù la sua passione si legge anche nell’evidenziare i gradi di cottura delle carni proposte, argentine, ma anche no, dal territorio oltre all’acqua hanno attinto le braccia che servono e che aiutano in cucina, tutte di Spoltore e dintorni, labirra è nella vita di ognuno di loro, l’unico posto dove non c’è è la salsa Jack, lì c’è Whisky.
“Però condisce pietanze cotte con la birra – ride lo chef, scusate, il cuoco, anzi, il pirata appassionato di cucina – Per essere chef bisogna studiare, magari lo diventerò, per essere cuochi non basta cucinare, io mi preparo, leggo cose di cucina, le realizzo, realizzo anche un mio sogno, esprimere un carattere che aveva bisogno di questo, un po’ da pirata, così quando sono qui indosso bandana e pantaloni appropriati”. Essere biologi però aiuta: “Siamo abituati a riporre tutto sottovuoto e classificato in frigo – conclude – una volta, durante un’ispezione, l’ufficiale mi chiese se poteva fotografare il nostro frigo, quando mi ricapita di vedere una cosa del genere, ci disse ahahahah!”
Essere biologi aiuta, conferma Pasquale, che ad oggi lavora ancora come informatore scientifico, anche se il settore non se la passa più bene. Fra l’altro, giusto per la cronaca, alla Desmond fanno le cotte anche i Leardi e anche lì la biologia ha lasciato la sua traccia nel birraio. “E’ perché questo mondo è diverso da quello del vino – riprende Arrigo – fra birrai c’è una solidarietà maggiore, perché ognuno di noi fa un prodotto suo, inimitabile, ci mette quello che sente per ottenere la birra che vuole. Questa è la ragione per cui ogni anno al Febar invitiamo birrai di altre regioni d’Italia, amici di cui siamo felici di proporre le birre”.
Quelli di quest’anno arrivano da Friuli e Toscana, fra l’altro il birraio del birrificio Foglie d’Erba di Forni di Sopra, nel bel mezzo delle Dolomiti friulane, si è aggiudicato il titolo di miglior birraio d’Italia! ” Una qualifica che arriva dal nostro mondo, da come fai la birra, da come la vendi, da come organizzi il tuo lavoro – dice Gino Perissutti – per questo è un titolo che rende orgogliosi, fra noi corre una buona aria”. Lo conferma Matteo Ferré, birraio toscano, zona Chianti, di Math, in onore del suo nome che in verità è in francese: “Un mondo che ospita gente come me che sono felice quando qualcosa fermenta – dice – Un mondo in cui il territorio ha un ruolo importante e che magari potrebbe anche contare un po’ di più per crescere meglio, perché dà lavoro, oltre ad essere, per molti, un’opportunità per riciclarsi o ritrovare un orizzonte professionale”.
Come capita in molti dei casi abruzzesi raccontati e da raccontare. La birra c’è, solo che non è ancora entrata nei circuiti istituzionali, Spoltore a parte, perché il Febar ha il patrocinio del Comune e perché il Comune sulla birra ha detto di voler puntare, per bocca del suo sindaco Luciano Di Lorito: “Vedremo, per ora andiamo avanti con la nostra forza e la passione che ci ha portato la birra – conclude Arrigo – che ci ha consegnato ad una vita dura, faticosa, ma finalmente divertente. Se non ci credete, frequentateci”.
(Foto Di Peco)