Per arrivare alla Cantina cooperativa Eredi Legonziano bisogna entrare nel cuore delle colline frentane: un percorso paesano su vecchie vie provinciali dove senti e vedi la vite, i colori, l’odore della terra reduce dall’ultimo maltempo. Una volta lì, accanto al corpo della cantina campeggiano grandi silos, reduci di una storia enologica passata, simboli identitari, lasciati lì perché ricordino il cammino percorso fino alla nascita del primo spumante Abruzzo Doc 100 %, metodo classico, che la cantina presenta. Lo hanno chiamato 36, quanti sono i mesi serviti a vederlo nascere e aprire la strada ad un’effervescenza di bollicine tutte abruzzesi che da oggi in poi verranno presentate.
Ad accogliere la stampa c’è il presidente della Cantina, Valentino Di Campli, sì, presidente anche di un vicino colosso, l’ortonese Citra, nelle vesti orgogliose di un mondo cooperativo che rappresenta di sicuro la storia dell’Abruzzo del vino. Sono 250 i soci di Eredi Legonziano, 40 e passa gli anni di storia: cifre non imponenti, ma grandi abbastanza per rappresentare una forza dell’economia frentana. Si fa un giro in cantina insieme all’enologo Vittorio Festa, un giovane talento di nuove alchimie enologiche che si stanno affermando sul panorama nazionale e che regalano primati, come questo del primo spumante abruzzese classico che nessuno aveva mai fatto prima. Festa è un figlio d’arte, commosso ti racconta che respira vino da quando è nato e che dopo la perdita del padre il vino è diventato naturalmente il suo mondo. Non poteva fare altro. Prima di entrare uno dei cantinieri, Nicola De Luca spiega che i vini della Cantina sono ottenuti con impatti ambientali minimi, grazie a macchinari in grado di avvisare quando le piante sono a rischio di attacchi di parassiti, funghi e altri cataclismi biologici. Si entra.
Nel corteo c’è anche Alessandro Bocchetti, volto e firma del Gambero Rosso, giornalista e tecnico abruzzese, è di Francavilla, alle prese anche lui con una nuova sfida editoriale, la webzine Spaghetti Junction che racconta il mondo che percorre da anni: sarà lui a guidare la degustazione di lì a poco.
“Prima era tutto in cemento – spiega Di Campli entrando nel nuovo corpo della cantina – ora abbiamo altri strumenti che ci consentono di procedere in modo più sicuro e specifico, di assicurare qualità”. Parla accanto alle bottiglie in fermentazione, è così che funziona il metodo classico: lo spumante viene imbottigliato e lasciato fermentare per 36 mesi: “Il primo riempimento c’è stato il 15 novembre del 2010 – dice – è da allora che aspettano. In verità stavamo provando dal 2004 a fare questo tipo di spumante. Con il metodo charmat, ovvero dentro questi grandi autoclavi, contenitori ermetici dove si va spumantizzare il vino. 36 Abruzzo 100% è la riprova di una sfida vinta, siamo i primi a farlo”.
Sorride Vittorio Festa, artefice con tutto lo staff della cantina di questo traguardo: “Quella cooperativa è una forza economica imponente, che non va buttata via – dice mentre mostra lo strato di lieviti che si produce dentro la bottiglia e che va tolto per rendere il prodotto di alta qualità – sono felice di aver lavorato con e per il territorio e spero che il prodotto lo racconti con i suoi sapori, con tutto quello che ha dentro, perché abbiamo cercato di farne la fotografia di questo territorio”. Il territorio è il suo obiettivo primario, Festa è artefice anche di altre sfide effervescenti, una diversa dall’altra, ognuna capace di parlare per la cantina e per il territorio che l’ha intrapresa. “Lo spumante non è una moda, è una filiera. L’asse portante è il vigneto – dice – si parte da lì, poi vanno gestiti i trattamenti in modo parsimonioso e la fase finale, quella della cantina, che consente di caratterizzare il prodotto”.
Una volta capita la differenza fra metodo Charmat e Classico la degustazione può cominciare. Lo spumante neonato sarà l’ultimo da assaggiare. Prima resta da capire perché la cantina si chiama così: “In passato il nome era Cantina Cooperativa Madonna del Carmine – racconta il presidente Di Campli – nel 2009 cercammo una leva per trovare un nome nuovo, che segnasse un nuovo corso e mi imbattei nella storia di Longino, il centurione romano che a Gerusalemme si pentì ai piedi di Gesù crocifisso. Al secolo Legonziano, il braccio destro di Ponzio Pilato mandato a vedere che tutto accadesse come stabilito, era di Lanciano. Dopo la conversione Legonziano tornò nella sua Anxanum a coltivare viti per trovare poco dopo il martirio a causa di quella sua fede. Così il nome della Cantina è diventato il suo: “Eredi”, perché vogliamo essere testimoni della storia, della cultura, dell’identità del nostro territorio come lo fu lui scegliendolo per cambiare vita”.
Alla presentazione c’è anche Tonino Verna, presidente del Consorzio di Tutela del Vino d’Abruzzo e presidente di Cantina Tollo, l’altro titano chietino: “Sono felice che siate riusciti in questa impresa – afferma – perché sebbene la strada del vino abruzzese sia irta di difficoltà in questo momento, è anche vero che se non si comincia non si parte. Non si diventa regione delle bollicine dal niente, bisogna intraprendere una politica di piccoli passi, una politica che riconosca e finanzi i progetti buoni. Insomma, mettiamoci tutti la stessa maglia e andiamo avanti, perché questa è una scommessa valida e ce la possiamo fare!”
I
sommelier cominciano a versare gli assaggi. Prima due vini fermi: il Dayne e il Diocleziano, alias cococciola e montepulciano, poi gli spumanti del metodo charmat: un saporitissimo brut, un profumatissimo Doc bianco, un amabilissimo Doc Rosé per dirla da profani. Ma Bocchetti arriva in soccorso e li racconta aiutando il palato di chi sommelier non è: “Il racconto del vino è molto importante – introduce – il vino cooperativo incarna il tessuto sociale di questa regione che ha un paesaggio unico, capace di passare in una sola ora dal mare alla montagna. Eppure per anni l’Abruzzo è stato uno dei maggiori produttori del vino che diventa spumante nel mondo. C’è un discorso sullimbottigliato che bisognerebbe fare, perché il vino abruzzese esca in bottiglia dai nostri confini, ma è una conquista da costruire, Tornando a noi, questo è il vino in cui il territorio si sente. In questi vini è il territorio frentano a parlare con la sua caratteristica sapidità che gli deriva dalla zona collinare esposta al mare”. Bocchetti è un ottimo Virgilio, guida comprensibile ai sapori che si avvertono ad ogni “beva”, come definisce il sorseggiare della degustazione.
Poi arriva il 36: spumante brut metodo classico, dunque, con un uvaggio di Pecorino, Passerina e Cococciola, rifermentato in bottiglia e affinato per 36 mesi sulle fecce fini, grazie alle quali si sviluppano caratteristici aromi di lievito e crosta di pane. Nell’ultima fase le bottiglie vengono messe a testa in giù per due mesi e scosse, e sboccate per potere essere tappate con il tappo di sughero a forma di fungo e proseguire verso l’ultimo percorso. La gradazione è di 13°. Un sapore che ti inonda caldo il palato e lo domina con la sua effervescenza misurata, di quelle che non tolgono il gusto, ma lo accompagnano.
I commenti dei sommelier dell’Ais alla vigilia del Galà pescarese sono positivi, anzi, il rappresentante abruzzese Gaudenzio D’Angelo è chiamato a fare una sfida nella sfida: sciabolare due bottiglie speciali, a cui il deposito di fermentazione è rimosso dal fianco delle bottiglie e portato in punta delle stesse per essere tolto. “Dovevamo decidere se mettere in commercio anche una partita lavorata così – annuncia Festa mentre entrano sciabola e bottiglie – beh, ora sarete voi a dirci se facciamo bene”.
La sciabolata è un colpo secco che deve far saltare il tappo scenicamente. D’Angelo prova due volte e poi riesce, la bottiglia non disperde il suo contenuto che finisce in brindisi e sorrisi prima dell’ultima fase della giornata, il pranzo stellato a Villa Majella, a Guardiagrele dove i vini e gli spumanti Eredi Legonziano vengono abbinati al menù studiato dallo chef Peppino Tinari.
Il risultato anche qui è vincente, il perché lo aveva poco prima spiegato Bocchetti: “Questi spumanti, sia quelli charmat che il classico, sono perfetti anche per pasteggiare, non solo a chiusura del pasto”. E il pranzo infatti corre con le abbinate: crostino con baccalà e pomodoro candito con il trebbiano metodo charmat; tartara di vitellone all’acetosella, bianco di tacchino con finocchi noci e arancia, patata farcita su crema di aglio rosso di Sulmona con lo charmat Doc cococciola; ravioli di buratta allo zafferano de L’Aquila e chitarra al ragù d’agnello e ricotta affumicata al ginepro con 36 Brut Doc; maialino nero con indivia brasata e cavolo broccolo saltato con Rosé metodo Charmat; sfoglia di mele e salsa alla cannella con il passito Legonziano Ily.
Non è finita. Resta la presentazione istituzionale, 24 ore dopo. Poi 36 andrà in commercio. Per chi lo vuole è reperibile in cantina a Lanciano, oppure in due punti vendita a Pescara che verranno indicati dalla cantina stessa.