A L’Aquila c’è la neve quando imbocchiamo la strada verso Ofena. L’altopiano brilla di una luce diversa, accoglie con colori caldi, con un’aria mite che ti fa sentire il fresco della vetta del Calderone che lo sovrasta e il respiro della terra liberato dalla neve che qui non c’è. La strada sterrata della Tenuta Cataldi Madonna corre fra filari bassi di vitigni autoctoni: 27 ettari, da qualche giorno 31, scopriremo di lì a poco, davanti ad un bicchiere di un montepulciano ritrovato: il Malandrino.
Il nome della famiglia coincide con la storia della Valle. Lì, a 450 metri dal livello del mare i Cataldi Madonna hanno tratto dalla terra vino, cereali, economia che ha alimentato tutto il territorio circostante. Una valle speciale: nell’Aquilano la chiamano il grande “forno”, perché è un anfiteatro perfetto, dove il calore della terra si mescola al freddo del Calderone e crea un ecosistema alchemico dove Montepulciano, Trebbiano, Pecorino crescono rigogliosi con sapori inediti. E così, da qualche anno, nella Valle sono arrivati anche altri importanti vignaioli, alla ricerca di quell’unicità territoriale da specchiare nel proprio vino. Fino agli anni ’90 i Cataldi Madonna erano soli.
Il Malandrino è speciale perché segna un nuovo inizio per l’azienda di famiglia. Ce lo spiega Lorenzo Pellegrini, aprendo una delle bottiglie in attesa, è figlio di Cristina, sorella di Luigi, i figli di Antonio l’architetto vinificatore. In tutta la storia della famiglia il vino è una costante che si affianca all’amore per l’architettura che fu pane di Antonio e di sua figlia e per le lettere, materia di Luigi, il vignaiolo filosofo e accademico: “Questo vino è una svolta, perché rappresenta l’obiettivo di decontaminare il vino dal legno. E’ stato possibile tornando ad utilizzare delle vecchie cisterne di cemento di proprietà dell’azienda e il risultato sembra aver centrato il fine”. Lorenzo ha 22 anni e un orizzonte da architetto come il nonno e sua madre da toccare, il vino è anche la sua costante, di cui si occupa come tutti in famiglia. “Certo, il cemento sta tornando di moda – illustra – ma per noi è il recupero di una storia di vinificazione capace di dare maggiore respiro al sapore del vino e a renderlo franco da quello del legno, che lo “appesantisce”. E’ il recupero di una pratica che ci apparteneva e che abbiamo accantonato con l’avvento del legno e dell’acciaio. Il gusto del Montepulciano emerge meglio dal cemento, è un gusto esclusivo di un vitigno storico per la nostra etichetta, che abbiamo recuperato e stiamo rilanciando perché ritorni a parlare di territorio”.
Un vino “popolare”, era questo uno degli obiettivi dell’etichetta, da far camminare accanto alla selezione di altissima qualità prodotta dai vigneti circostanti e nota nel mondo enologico non solo nazionale. “E’ una popolarità legata al sapore del vino innanzitutto – sottolinea Lorenzo – che parla a tutti i palati e che non ha bisogno di un gusto strutturato per essere apprezzato. E’ una politica che si sta dimostrando vincente, qui c’è un punto di vendita diretto del vino sfuso, lo abbiamo sempre tenuto e continueremo a farlo perché è un modo di dialogare con il nostro territorio, di avere un rapporto fiduciario con la gente che ci conosce e che ci sceglie. E per questo sono nate delle forme “popolari” di packaging, come la Bag in Box da 5 litri, nata con un prezzo competitivo proprio per arrivare nelle case e sulle tavole di tutti”. Ofena è a pochi chilometri sopra la valle, il mare è 450 metri sotto il livello dei vigneti, nel “forno” si fanno prove e si realizzano obiettivi ambiziosi, come il Pecorino, che furono i primi a lanciare con il suo nome nudo e crudo o come le bollicine, che sono in cantiere in attesa del giusto equilibrio di sapori della valle. Il territorio è ricco di storia e cultura nativa per l’Abruzzo: “Qui di fronte c’è Capestrano – illustra Lorenzo – ci sono i siti archeologici sopra c’è Ofena, il Parco, il vino appartiene a tutto questo e se ne fa portatore”. Una convivenza naturale, così suo nonno volle in una delle sue etichette proprio quel Guerriero di Capestrano che riaffiorò dalla terra di alcuni possedimenti della famiglia. Un rapporto sempre aperto, in continua evoluzione, testimoniato dal Cataldino, che non è un vero e proprio vino, ma l’assaggio della sperimentazione in corso nell’azienda sul settore, l’approdo dello studio del vino, in bottiglia.
La nuova era legata a Luigi Cataldi Madonna ha guardato al futuro allargando anche gli orizzonti geografici dell’etichetta che oggi tocca Stati Uniti d’America, Inghilterra, Irlanda, Germania, Belgio, Francia, Lussemburgo e Olanda e si sta aprendo una strada anche verso Oriente: “E’ un mondo che bisogna esplorare e conoscere – conclude il nostro Virgilio – noi stiamo facendo attraverso i nostri vini, ed è un buon viatico per arrivare verso il nuovo, conoscerlo e migliorare il prodotto di cui siamo portatori con la nostra storia aziendale”.