Il rito si è ripetuto e gli auspici sono stati buoni. Le serpi si sono aggrovigliate subito attorno alla testa del santo. Buon segno, hanno detto a Cocullo, mentre la statua veniva issata in piazza tra gli applausi di migliaia di persone che hanno atteso per ore, sotto un sole cocente, pur di assistere alla rappresentazione dell’eterna lotta tra il bene e il male, tra la santità e la malvagità, accompagnata dalle preghiere di chi ha fede e dalla curiosità di chi ha semplicemente voluto seguire un rito conosciuto in tutto il mondo.
L’atmosfera particolare del primo maggio di Cocullo, dedicato a San Domenico e alla festa dei serpari, si respira sin dalle prime ore della mattina, quando la piazza dinanzi alla chiesa di santa Maria delle Grazie, illuminata da un sole inatteso ma invocato, comincia a brulicare di gente arrivata da ogni parte d’Italia. C’è chi ha scelto di spostarsi in treno per raggiungere la stazione del piccolo paese arroccato sul monte Luparo. Chi ha preferito l’automobile e ora si appresta ad affrontare una lunga coda per entrare nei i parcheggi collegati con i bus navetta. I protagonisti assoluti sono loro, i serpari, che accolgono i turisti, i visitatori e i fedeli mentre in chiesa si celebrano le funzioni religiose. I serpenti sono “accoccolati” tra le loro braccia, pronti a spalancare le fauci, a mostrare la lingua biforcuta, a muoversi lentamente. C’è anche ci li tiene attorno al collo, come una giovane serpara che chiede aiuto a una turista affinché non le si intreccino tra i capelli. Sono lunghi come il cervone, o più corti e sottili come il biacco. I meno coraggiosi si limitano a toccarli, i più audaci, invece, vinta l’iniziale diffidenza, li prendono tra le mani, se li fanno mettere sulle spalle o addirittura sulla testa per le foto di rito.
“Iniziamo a raccoglierli alla fine di marzo, nelle giornate in cui si raggiungono i 18 gradi, e c’è poco vento” spiega uno dei serpari storici di Cocullo, Armando Proietti mentre mostra i suoi serpenti accoccolati. “Le specie sono il cervone, il biecco, la natrice e la coronella, tutti non velenosi, tranne il biacco che è un po’ mordace. Dopo la processione, alla sera, vengono rimessi nelle teche e il giorno dopo, temperatura permettendo, vengono riportati nelle proprie tane. I serpenti sono una parte di noi, ecco perché non ne abbiamo paura. Io ho cominciato a raccoglierli all’età di sei anni, e con il nome di mia moglie, Alessia, ho battezzato l’esemplare che mi ha fatto più dannare per catturarlo” aggiunge sorridendo. “Sono 24 anni che lo ricatturo, è ormai mio amico. E poi sono convinto che i serpenti e San Domenico mi abbiano salvato la vita. E’ successo qualche anno fa, ero a Villalago con il motorino, su una stradina molto stretta che porta all’eremo di S. Domenico, quando in curva mi sono trovato di fronte un autobus. Sono riuscito a schivarlo per un pelo. Dopo 20 metri ho visto strisciare sulla strada un’Elaphe Longissima (saettone), un serpente che non si vedeva in quel periodo. L’ho catturato e l’ho portato all’eremo per ringraziare San Domenico”. Armando Proietti torna dai suoi amici e dai tanti turisti che lo attendono. Tra poco c’è da prepararsi per mettere i serpenti sulla statua di san Domenico. La piazza e le strade di Cocullo sono invase da migliaia di persone. La banda sfila in corteo con le ragazze in costume tradizionale che portano sulla testa i canestri con i pani sacri, detti “ciambellani”, in ricordo di un miracolo compiuto dal Santo, mentre la voce del vescovo Angelo Spina si diffonde dagli altoparlanti sistemati all’esterno della chiesa dove è in corso la solenne funzione che precede la processione, accompagnata dal suono della campanella della cappella di san Domenico, la cui catenella i fedeli tirano con i denti per proteggerli contro le malattie, rispettando la tradizione.
San Domenico fu un precursore di San Francesco, un taumaturgo” spiega Lia Giancristofaro, antropologa dell’Università d’Annunzio di Chieti e studiosa del rito. “Fu molto sostenuto dalla fede e dalla fiducia della gente perché migliorò le condizioni delle popolazioni appenniniche in un momento in cui la Chiesa era molto lontana. Ha fatto molti miracoli e quello più importante è avvenuto proprio a Cocullo quando ammansì un lupo selvatico, così come fece anche San Francesco. Sempre qui, si cacciò un dente e tolse un ferro alla sua mula per regalarli agli abitanti del paese, reliquie che sono ancora nella statua. Il culto del santo con le serpi è iniziato nel Settecento, in una sorta di finzione rituale celebrata in chiesa, una specie di esorcismo contro il male. Oggi questa festa rappresenta un bisogno di sostenibilità ambientale, di rappacificazione con le persone, di sostegno alla fede”.
Che sia fede o folklore, vivere il rito dei serpari a Cocullo vuol dire vivere un’emozione unica, sentire l’esplosione di entusiasmo che riempie la piazza quando la statua di san Domenico viene innalzata al cielo, coperta di serpenti aggrovigliati sulla testa del santo, mentre canti popolari accompagnano la processione insieme alla musica della banda. Centinaia di fotografi si accalcano sul palco montato davanti alla chiesa per scattare immagini uniche, telecamere riprendono il corteo, accompagnate da decine e decine di giornalisti, venuti persino dal Brasile. San Domenico sfila per le vie del paese, tra le vecchie case del borgo, accompagnato dalle preghiere dei fedeli e dai serpari, che vigilano affinché i loro amici serpenti non si allontanino dalla statua. Ai lati della strada, persone di ogni età, anche bambini, che tengono tra le braccia, come se fosse un animale domestico, il loro serpente. La banda continua a suonare fino a quando non viene sopraffatta dall’esplosione dei fuochi di artificio che salutano il passaggio del santo davanti alla vallata. Scende per stradine tortuose la processione, poi sale di nuovo per raggiungere la piazza del paese. E ‘ momento di rientrare in chiesa. I serpari concludono il loro rito spogliando la statua dai serpenti. Il vescovo termina in preghiera la funzione, mentre la statua di san Domenico viene ricollocata di fianco all’altare. Le campane suonano a festa per concludere il rito. Centinaia di persone fanno ritorno verso la stazione per riprendere i treni in partenza verso Sulmona e Avezzano, altre si dirigono verso le auto. Presto verrà il momento anche per i cocullesi di riportare nelle tane i loro amici serpenti e di tornare alla normalità del loro piccolo borgo.