Conosce il rugby, per questo non ha paura di affrontare le difficoltà. Conosce anche la cucina, ha studiato per diventare chef e girato il mondo alla ricerca dei sapori e degli ingredienti i più strani per raccontare in un insolito e avvincente modo il cibo di strada di tutta la penisola. E la prima cosa che Chef Rubio ha fatto, avviandosi verso l’Abruzzo per registrare la prima puntata della nuova stagione del suo Unti e Bisunti, è stato annusare l’aria e sentenziare un: “qui tutto sa di ovino”, che ha aperto il suo viaggio di scoperta della Piana Aquilana (la puntata intera messa online da DMax cliccando nella foto principale).
La trasmissione sta diventando un Cult su DMax, rete digitale al canale 52 e anche sul canale 28 di TivùSat: va in onda ogni domenica sera intorno alle 22,30. E questa domenica chef Rubio, al secolo Gabriele Rubino è tornato in Abruzzo, ha cercato sul territorio qualcosa da cucinare, assaggiando con tutti i suoi sensi, chi segue la serie sa come lo chef romano assapora qualunque cosa commestibile si trovi davanti, ha selezionato i cuochi da sfidare e si è messo all’opera, aiutato dall’Associazione Salviamo la Piana, che gli ha fatto da silenziosa compagna per tutta la durata del programma.
A bordo della sua Duster con al seguito il carrellino in cui tiene tutta l’attrezzatura per cucinare, Chef Rubio ha cominciato la sua perlustrazione addentando prima di tutto una “pezza” di pecorino, uno dei frutti più comuni della Piana Aquilana, terra di tratturi e di pastori. Poi, planando in mezzo al grano, si è mezzo a strappare con i denti un pezzo di micischia, carne secca ovina, pecora, a volte capra, uno degli snack negli stazzi abruzzesi, per lui dal sapore forte e consistente come “cartone”.
“Non è Abruzzo senza gli arrosticini”, l’altro incontro dello Chef che ne ha ingollati ben 7 prima di mettere i denti su una salsiccia di fegato cruda, pronta per essere messa al fuoco. Poi, eccolo ramingo, in una trattoria di Prata d’Ansidonia mettere il muso in un coccio di ceci con lo zafferano, altro piatto forte della zona e, alla sua richiesta di qualcosa di più hard, è stato accompagnato dal cuoco che gli ha concesso generose cucchiaiate di coratella, mandate giù a sorsate di birra, causa il destinatario non proprio delicato per cui è pensato il piatto.
Fra quei tavoli arriva la sfida, un veterinario del posto che lavora con i pastori gli promette di fargli assaggiare una pecora particolare e lo porta nella tana di quelli che diventeranno i suoi sfidati: Tonino e Tartaro che mangiano marcetto prima di quello che diventerà il piatto della sfida, la pecora alla cottora (alla callara in altri posti, dipende da come si chiama la pentola dentro cui si cuoce).
Fantastica la giuria: i pastori aquilani. Fantastico anche il modo di procurarsi gli ingredienti: cipolla, carota ed erbe aromatiche colti da orti e campi, la carne in arrivo da un macello del luogo. Sul terreno di sfida, schermaglie, battute e informazioni utili per chi cucina, perle di saggezza che accompagnano ovunque lo chef nelle sue escursioni e che sono quasi sempre la chiave delle sue ripetute vittorie.
Poi, attraverso due diversi e lontani modi di cucinarla, la pecora alla cottora arriva al capolinea e nello stazzo di gara arriva anche la giuria che assapora ora da un pentolone, ora dall’altro, attribuendo la vittoria allo Chef e al suo modo meno selvatico di cucinare. Belle le ambientazioni, il tenore della sfida e il modo di presentare i prodotti, parlano quasi da soli, bello anche il modello di cucina che viene fuori, fatta di poche genuine cose messe insieme in modo, sì, sofisticato, dal pittoresco Rubio che con la sua calcata irruenza così dimostra la differenza fra chi cucina bene e chi è chef.