Oltre 242 miliardi di euro pari al 17,2% del totale. A tanto ammonta il valore aggiunto prodotto dagli oltre 3,8 milioni di giovani occupati in Italia. Un dato rilevante che equivale all’apporto dell’intero comparto manifatturiero nazionale. Una parte significativa del valore aggiunto dei giovani proviene dalle 675mila imprese di under 35, aumentate lo scorso anno di oltre il 10%, pari a 70mila unità in più. E ci sono altre 100mila imprese che potrebbero nascere per iniziativa giovanile che attendono solo l’occasione per mettersi sul mercato. Queste le cifre più significative che emergono dallo specifico focus realizzato per la prima volta da Unioncamere e presentato oggi in occasione della 137ª Assemblea dei Presidenti delle Camere di commercio italiane.
“Dobbiamo far diventare i giovani i veri protagonisti di un nuovo modello di sviluppo, compatibile e sostenibile”, ha evidenziato il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. “Raggiungere i livelli di occupazione medi europei è un obiettivo che possiamo e dobbiamo porci. Molte le strade da percorrere: semplificare la riforma dell’apprendistato; ridare slancio ai servizi per l’impiego attraverso una regia unitaria a livello nazionale che veda coinvolti sui territori diversi attori, tra cui le Camere di commercio. Come sistema camerale, sfruttando il sistema Excelsior e il Registro delle imprese, possiamo raggiungere in maniera mirata le aziende segnalando quelle professionalità che stanno cercando. Sull’imprenditorialità, proponiamo l’istituzione di un sistema ordinario di assistenza alla nascita di nuove imprese, fatto di servizi omogenei su tutto il territorio, che incoraggino l’innovazione, prevedano un accesso facilitato al microcredito e favoriscano l’utilizzo di fonti alternative di finanziamento”.
L’apporto dei giovani alla ricchezza del Paese. La stima del valore aggiunto prodotto dall’occupazione giovanile mostra (grafico 1) che esso si ripartisce per oltre tre quarti nel terziario, per il 22,4% nel settore industriale e per l’1,7% nell’agricoltura. Costruzioni (22,8%), terziario nel suo complesso (17,8%), e, al suo interno, il commercio (21,2%) gli ambiti nei quali il lavoro dei giovani incide di più sul totale dei singoli settori. Minore, ma pur sempre rilevante, l’apporto fornito al manifatturiero (13,3%) e all’agricoltura (14,6%, tabella 1).
Al Mezzogiorno il primato della maggiore incidenza della ricchezza prodotta dalle giovani generazioni a livello di macro ripartizione (18%). In linea con la media nazionale, invece, quello delle due ripartizioni settentrionali (17,3% il Nord-Ovest, 17,2% il Nord-Est) mentre inferiore di oltre un punto percentuale rispetto alla media è quello del Centro (16%). Tra le regioni, spicca la Puglia, in vetta alla classifica in termini di valore aggiunto prodotto dalla componente giovanile sul totale regionale (21,3%), quindi il Trentino Alto Adige (20,4%), l’Umbria (17,9%), la Calabria (17,8%), il Veneto (17,7%) e la Lombardia (17,5%). Quest’ultima, tuttavia, in termini assoluti, concentra oltre un quinto (21,8%) del totale del prodotto nazionale derivante dall’occupazione giovanile. Relativamente meno intenso l’apporto dei giovani al valore aggiunto regionale, invece, in Emilia-Romagna (16,4%), Toscana (16,1%), Liguria (16,0%), Lazio (15,4%) e Friuli-Venezia Giulia (15,2%) (tabella 2). A contribuire maggiormente alla formazione della ricchezza prodotta dai giovani è la componente dei lavoratori dipendenti, cui si deve il 71% del valore aggiunto contro il 29% derivante da quella indipendente. Quest’ultima è particolarmente consistente però nel Mezzogiorno (33,6%), con valori massimi in Calabria (40%) e Molise (38,1%), quindi Toscana (34,5%), Campania (34,4%) e Sicilia (34,3%). Le regioni in cui è invece più elevato il contributo della componente dipendente sono la Lombardia (26,9%), l’Emilia Romagna (26,0%), il Friuli-Venezia Giulia (23,2%), il Veneto (23,0%) e il Trentino-Alto Adige (18,9%).
675mila imprese guidate da under 35. Se a fine 2012 nel nostro Paese 1,4 milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni sono disoccupati e un altro milione e 200mila rientra nella categoria degli “scoraggiati” (ovvero coloro che sono disponibili a lavorare, sebbene cerchino non attivamente un lavoro oppure non lo cerchino affatto), una porzione cospicua degli under 35 il lavoro ha deciso di crearselo da sé, aprendo una impresa. Al Registro delle imprese delle Camere di commercio, a fine 2012, risultano iscritte 675mila imprese giovanili, pari all’11,1% del totale delle imprese registrate a livello nazionale (tabella 3). Rispetto al 2012, la loro numerosità è cresciuta del +10,1%, grazie ad un saldo positivo tra iscrizioni e cessazioni di 70mila unità in più. Tutt’altra velocità rispetto al modesto +0,3% di crescita dell’intera imprenditoria.
La reattività e il coraggio di fare impresa dei giovani, spinti prima di tutto dalla voglia di cogliere un’opportunità di business valorizzando le proprie capacità e competenze – anche sviluppando strategie innovative di prodotto e di processo – è quindi dimostrata dai numeri. Lo stesso bacino di disoccupati giovani fornisce un vero e proprio ‘esercito di riserva’ di potenziali neo-imprenditori, che potrebbero essere avviati all’autoimpiego tramite strumenti di finanza dedicata (venture capital, microcredito, crowd funding per le iniziative più piccole) e opportuni percorsi di crescita e formazione nel campo, ad esempio, della cultura manageriale, delle competenze sull’impresa e sul lavoro, dell’apprendimento e applicazione delle tecnologie (anche in chiave green), dell’internazionalizzazione.
Peraltro, le cifre che emergono dalle elaborazioni di Unioncamere sull’indagine Istat sulle forze lavoro evidenziano che oltre 13mila giovani tra 18 e i 34 anni alla ricerca di lavoro vorrebbe avviare un’attività in proprio. A questi si aggiungono le 368mila unità che non hanno preferenze tra lavorare alle dipendenze e in proprio. Se almeno un quarto di queste persone venisse avviato al ‘fare’ impresa, si arriverebbe a un bacino potenziale di nuova imprenditorialità giovanile di poco oltre 105mila unità.
188mila imprese di giovani donne. All’interno dell’universo delle imprese degli under 35, quelle a conduzione femminile appaiono particolarmente diffuse. Le imprese di giovani donne rappresentano, infatti il 27,8% del totale delle imprese guidate da under 35, mentre le imprese “rosa” nel loro complesso incidono sul totale delle attività registrate alle Camere di commercio per il 23,5%. Pari a circa 188mila unità, le imprese di giovani donne incidono per il 12,8% sul totale delle imprese “rosa” e risultano particolarmente diffuse nel Mezzogiorno (dove sono quasi 81mila). Ciò rende particolarmente evidente in questo caso la reattività e capacità di risposta di questa componente della società, spesso penalizzata sul mercato del lavoro. E la “voglia di fare impresa” delle giovani donne non si è fermata, malgrado la crisi: tra il 2011 e il 2012, a fronte di un modesto incremento, misurato dal tasso di evoluzione (al netto delle cessazioni di ufficio) dello 0,2% del totale delle imprese femminili, quelle a conduzione giovanile sono aumentate del 10,7%, grazie ad un saldo tra iscrizioni e cessazioni di +20mila unità.
123mila le imprese straniere di under 35. Interessante risulta essere anche l’incidenza e l’espansione dell’imprenditoria giovanile straniera che, con le sue 123mila imprese registrate, rappresenta il 18,2% del totale dell’imprenditoria giovanile (arrivando a superare il 30% in Toscana e a sfiorarlo in Emilia-Romagna, mentre ha incidenze a una cifra in molte regioni del Mezzogiorno) e poco più di un quarto di quella “etnica” complessivamente considerata. Elevata la sua dinamica di crescita anche negli ultimi due anni (+14,8% tra il 2011 e il 2012, con le imprese iscritte nel 2012 che hanno superato di 18mila unità quelle cancellate).
Un terzo delle imprese giovani è artigiano. Anche l’ingresso dei giovani nel mondo dell’artigianato è piuttosto frequente (il 29% delle imprese giovanili è a carattere artigiano, per un totale complessivo di quasi 196mila unità, pari al 13,6% dell’intero comparto). Un segnale di vitalità di un segmento che per tanti aspetti è fortemente penalizzato dalla crisi. Anche in questo caso appare evidente una divisione in due del Paese, con il Nord che presenta una incidenza intorno al 40% delle imprese giovanili artigiane sul totale dell’imprenditoria giovanile (con la Valle d’Aosta e l’Emilia Romagna a svettare con punte del 43%) e un Mezzogiorno che non arriva neanche al 20%, con punte particolarmente modeste in Campania (13,4%) e Sicilia (17,7%).
13mila imprese cooperative giovani. Anche il ‘volto’ giovanile del mondo cooperativo, sebbene ancora piuttosto minoritario nel panorama delle imprese di under 35 italiane, mostra tassi di evoluzione piuttosto rapidi (+1.700 il saldo 2012 fra iscritte e cessate; +12,2% il tasso di evoluzione), indicando come le finalità mutualistiche e di relazionalità particolare con il territorio e con le comunità locali tipiche del cooperativismo siano in grado di fornire crescenti soluzioni occupazionali alla crisi del mercato del lavoro. Le cooperative di giovani erano più di 13mila a fine 2012 e rappresentavano il 9,1% del totale delle imprese cooperative.