Tanta gente dice di voler cambiare vita. Qualcuno lo fa davvero e non solo cambia vita, ma cambia città, cambia lavoro, cambia ritmo. E ci sono persone talmente predisposte al cambiamento da essere in grado di ricominciare da zero, da imparare un’arte nuova e tesserci intorno tutta la propria esistenza e quella delle persone amate. Voleva vivere la sua famiglia Antonio La Gatta, quando ha deciso di smettere di viaggiare e tornare nella sua terra. Dopo anni di consulenze nei paesi arabi e con una figlia piccola lasciata ogni volta a casa a Roma, ha detto basta, ha venduto casa e ha ricominciato dalla sua terra d’origine, l’Abruzzo. Ma proprio dalla terra.
“Mio padre aveva una piccola casa e degli appezzamenti a Tocco da Casauria e abbiamo deciso di ricominciare qui” spiega sua moglie
Elvira Campanaro che ci apre le porte della tenuta. Dall’azienda agricola Cantalupo si vede il costone di montagna da cui prende il nome, la casa, la stalla, parte degli stazzi si trovano proprio al confine con il Parco Nazionale della Majella con cui condividono una comune visione di sfruttamento e tutela del territorio. Lo fanno davvero: te ne accorgi quando scopri i pannelli solari che alimentano tutta l’azienda, quando apprendi che lo stallatico finisce a fare da concime ai frutteti, che i maiali mangiano il siero che avanza dal caseificio e che altrimenti non può essere smaltito, che per le piante da frutta non usano nulla che non sia naturale. Lo scopri entrando nell’auto di Elvira, ostetrica al vicino distretto sanitario, mani e braccia preziose prestate ad un’agricoltura speciale, quando smette il camice e indossa gli stivali per andare in campagna o i guanti in lattice per fare il formaggio, che durante il tragitto condivide conoscenze, ricordi e progetti per farti entrare in un mondo diverso, in un modo biodiverso di vivere il territorio.
Raggiungiamo il podere nel cuore delle colline toccolane, è recintato, è pulito, è colorato dalle ciliegie che pendono a migliaia dai rami intonsi, dalle prime pesche e albicocche che crescono sotto le fronde, dai fiori accesi dei melograni che ci accolgono insieme a Beatrice Tortora, responsabile regionale di Donne in Campo, una volta raggiunta la meta. A loro siamo arrivati tramite l’associazione di genere che smuove zolle ed iniziative dentro la Cia regionale e che ci spiega
quanto è speciale ciò che vedremo.
“Perché – dice Beatrice, guida d’eccezione alla scoperta di un mondo davvero sostenibile – loro qui fanno cose straordinarie, sono agricoltori custodi, cercano e ricoltivano semi scomparsi, portano a coltura specie ortofrutticole che l’Abruzzo rischia di dimenticare, fanno storia, perché la biodiversità deve avere una chance”.
Elvira ci porge vaschette per raccogliere le ciliegie e ci invita a farne incetta: “Le vendiamo tramite Raggio Corto, l’impresa che prende dalla campagna e ti consegna a casa prodotti freschi ogni giorno – dice – Se non si colgono saranno sprecate, ma fate attenzione, vanno presi solo i gambi, la talea deve restare attaccata al ramo, sennò l’anno prossimo non rifruttano”. Così ecco che la conta comincia: ci sono filari e filari di ciliegi, di specie diverse, tutte autoctone, rosse, meno rosse, grosse, meno grosse, saporite, amarognole. La cosa strepitosa è che noi ne mangiano al massimo un paio di qualità, comprandole in città o comunque lontano dalla campagna.
Antonio ci raggiunge fra le piante e ci spiega che più sù ha scoperto uno sciame di api: “Vado a prendere la mascherina e l’arnia per prenderle – annuncia – se siamo fortunati facciamo entrare anche la regina”, perché Cantalupo fa anche il miele. Eravamo alla frutta, perché è dalla terra che l’avventura è cresciuta. Le piante sono centinaia: pesche, albicocche, melograni, pere e mele, ce n’è una specie pentagonale, unica in Italia: “Cresce qui sui pascoli – racconta – un giorno uno dei miei pastori me l’ha riportata, era perfettamente pentagonale, sembrava fatta con una squadra. Mi sono fatto mostrare dove l’aveva trovata, l’ho portata all’Arssa e l’abbiamo ripiantata, una ventina di esemplari che hanno già dato frutti. Simili se ne trovano solo a Torino, presumibilmente sono mele in arrivo dalla Francia, perché le abbiamo trovate vicino a dei vecchi pozzi per le ricerche petrolifere risalenti al secolo scorso, fatti a Tocco dai francesi”. Gli albicocchi hanno le foglie rovinate: “Non usiamo pesticidi – spiega Elvira – a volte succede che non ci siano i raccolti, la tutela della biodiversità significa andare incontro anche a questo, ma siamo determinati, abbiamo fatto una scelta integrale e vogliamo portarla avanti, anche se costa fatica e sacrificio. Perché? Perché ci crediamo”.
Basta questo per aver affiancato il frutteto e gli oliveti alla stalla da cui tutto è iniziato e dove oggi vivono circa 100 capre che ci accolgono al rientro in azienda, tornano dal tratturo soprastante; 200 pecore, già nell’ovile governate da attentissimi cani pastori, fra cui Birillo, una vera forza dell’ordine; una decina di maiali, qualche gallina e un’asina. Hanno spazio, niente gabbie, paglia e fieno,come da manuale e producono latte che diventa formaggio, una delle glorie dei Cantalupo.
“Abbiamo preso tanti premi per i nostri pecorini e caprini – dice Antonio – li facciamo qui, li vendiamo a chi ci
raggiunge, perché siamo convinti che sia il modo più efficace di rivitalizzare il territorio. La gente deve venire alla terra e scegliere, perché così capisce che genere di qualità ha davanti, la vede, la assaggia, la odora, la tocca”.
Un consumo biodiverso o sostenibile, in cui non è la montagna che va a Maometto, ma Maometto che va alla montagna, meglio, alla campagna pedemontana. Un’idea a Tocco sta nascendo e forse dal prossimo raccolto autunnale delle mele diventerà realtà.
“Per i frutteti sto pensando di organizzare una raccolta aperta, proprio per sensibilizzare sempre più persone – conclude Antonio La Gatta – ad
un modo diverso di consumare, di conoscere il proprio territorio, in autunno lo faremo: chiederemo a chi vuole di venirci ad aiutare a raccogliere le mele, di portarsele a casa, pagando un obolo simbolico, di diventare per un giorno una manodopera speciale, che ha un valore grande, perché con le mele porta a casa un’esperienza unica. Quella che ogni giorno ci motiva a continuare a lavorare la terra, a rispettarne il valore, a considerare un investimento per il futuro e chi verrà dopo di noi tutti i sacrifici fatti per vivere in modo diverso”.
(Foto Di Peco)