La prima cosa che ti colpisce quando arrivi a Castelli è il silenzio. Una volta ammirato il suo profilo di paese abbracciato ad uno dei versanti più spettacolari del Gran Sasso ti colpisce anche il vuoto in mezzo a cui sono sospese le insegne, i numeri civici, le indicazioni turistiche fatti in ceramica. Pezzi di un’arte secolare che non stupisce più il mondo, dopo averlo raffigurato, celebrato e percorso in lungo e in largo nei tempi d’oro delle maioliche. A ridosso della piazza ci sono ancora delle bacheche in legno montate per la fiera mercato dell’estate e riutilizzate per il periodo di Natale. Dentro, c’è chi ha lasciato piatti, brocche e oggetti in mostra, nel caso passi qualcuno. Salendo verso il centro storico ci sono alcune botteghe aperte, ma le più hanno le serrande abbassate oppure porte chiuse, luci spente e laconici bigliettini che invitano a chiamare i cellulari degli artigiani che, in caso serva, arrivano in pochi minuti in negozio, perché di movimento a Castelli non ce n’è più da tempo. La vecchia zona industriale è ferma da anni, le fabbriche maggiori hanno chiuso in tante, le botteghe, invece, una cinquantina, provano a resistere, ma d’un tratto, dal 2008 a oggi, crisi e terremoto hanno bloccato tutta quella economia basata sull’arte in una dimensione surreale: da una parte tanta bellezza eternata e ferma sui mille oggetti fatti a mano uno ad uno dai vecchi artigiani di Castelli, un’arte imparata dai figli che hanno deciso di restare sperando che le cose cambino; dall’altra la consapevolezza che quell’arte potrebbe non avere futuro, perché esercitarla oggi non conviene, non dà di che vivere, perché il mondo conosce, ma non compra più le ceramiche di Castelli.
Siamo arrivati fin qui per via di una mostra ospitata dagli Open Day del glorioso e storico Liceo Artistico Francesco Antonio Grue, si tratta di “bla bla design workshop“, frutto di un workshop pensato quest’estate ad due creativi pescaresi della ceramica, Dario Oggiano, Elisabetta Di Bucchianico (leggi il nostro articolo su di loro) e Daniela Maurer, in collaborazione con il maestro Paolo Ulian, tutti insieme come Arde, Artigianato e Design. L’idea era quella di restituire nuova vita agli oggetti sospesi di Castelli, lasciando liberi gli iscritti al workshop di creare ad essi un futuro “fantastico”, oggetti nati dalla memoria di quelli storici e costruiti da allievi, docenti del liceo e artigiani e creativi venuti da fuori, inseguendo emozioni precise: amore, sentimenti, emozioni. Il risultato è bello e struggente, come il presente di Castelli.
Un presente che si concretizza nelle parole di Emiliano Di Egidio, figlio di Romeo, uno di quelli storici artigiani castellani, di quelli che hanno deciso di rimanere a tramandare l’arte finissima di suo padre e che oggi sostengono a fatica il peso di quel patrimonio di valore immenso, ma immobile. Lo chiamiamo al telefono e in pochi minuti siamo nella sua bottega. In un angolo c’è la radio accesa, la sedia, un cavalletto con un piatto fissato in lavorazione e i cocci con i colori. Non ha fretta e racconta: “Mio padre ha iniziato a lavorare la ceramica che aveva sette anni, ci è cresciuto – dice – E’ diventato un bravo artista, per via della sua tecnica, dei disegni e dei colori più tenui che ha utilizzato: uno stile che si è costruito da solo, ispirandosi ai grandi maestri di Castelli. Io e mio fratello siamo venuti in bottega dopo gli studi: istituto d’arte e poi Accademia delle Belle Arti a L’Aquila, potevo insegnare, ma mi piaceva di più dipingere, creare. Solo che da qualche anno, dal 2008, è difficile
continuare: colpa della crisi, colpa del terremoto del 2009 che ha distrutto anche noi e ci ha paralizzato per via di danni che il paese non può sostenere solo con le sue forze, insomma la ceramica non è più una fonte remunerativa. Non ci si campa più, perché nessuno la compra come una volta”. In paese si racconta di stagioni favolose, di camion che dalla Germania venivano in paese due volte al giorno a caricare centinaia, migliaia di pezzi, di estati che si finiva con gli scaffali di tutte le botteghe vuoti per quanti acquirenti c’erano. Di artigiani che facevano 500, 600 pezzi al giorno con le mani, perché le macchine non arrivavano. Poi, di colpo, il nulla.
Nel centro artigianale, sotto la piazza di ingresso a Castelli, entriamo in uno dei laboratori più vecchi, Mercante, dal 1840 recita l’insegna. La porta è aperta, l’abbraccio caldo, come negli altri luoghi artigiani in cui ficchiamo il naso. E’ per via dei forni, spiega Monica Gambacorta che ci accoglie e ci guida nelle fasi della creazione dei pezzi. Ci fa vedere il tornio antico, quello moderno, l’angolo dei colori, dove i pezzi stanno ad asciugare, ci spiega la doppia cottura e indica degli oggetti messi uno sull’altro: al tatto sono caldi, “Li ho appena tolti dal forno”, dice. Tra le mani la sensazione è simile a quella che si ha toccando il pane, sembrano morbidi, sono fragranti. Ci racconta la solitudine di Castelli, ci fa vedere la cava alle spalle del paese, in disuso da anni, da quando le crete arrivano da Toscana e Umbria, poi scopriremo che è perché quelle sono più convenienti e bypassano il problema che Castelli è nel cuore del Parco nazionale del Gran Sasso Laga, il territorio non si tocca più. Ci indica un “forno a respiro” nella bottega accanto, ma non troviamo nessuno, il laboratorio è tutto puntellato per via del terremoto e dopo aver scattato foto e finito il giro proseguiamo verso il liceo.
La scalinata in ceramica multicolore è un bel modo per coniugare il valore del passato delle maioliche di Castelli alla necessità di un nuovo futuro per quel patrimonio. Nella scuola che porta il nome di Francesco Antonio Grue, il ceramista innovatore, che diede il respiro del suo Rinascimento alle decorazioni, scrivendo una nuova era per le ceramiche natie. La mostra c’è perché ci sono gli Open Day, una giornata particolare perché la scuola, ad oggi circa 100 studenti per tutto il ciclo di studi, apre le porte a ragazzi e genitori delle medie, perché la scelgano. Nell’atrio c’è il primo dei quattro eventi pensati per gli open, Frammenti di Luce, giunto al 4° anno, è una sintesi di tutto ciò che la scuola è, fa e rappresenta per chi la sceglie. “Un meraviglioso oggetto del desiderio – illustra la professoressa Carla Marotta, preside dell’oggi Liceo Artistico – Siamo nati nel 1905 come regio istituto, uno dei primi in Abruzzo, fra gli storici in Italia. Questa è una scuola di cui tutti conoscono l’esistenza, perché ha una storia e un valore speciali”. Lei l’ha scelta. Formazione scientifica, amore per la cultura, originaria de L’Aquila, città dove torna ogni sera e dirige un altro istituto scolastico. L’ha costruita come una scuola umanistica che prepara al lavoro, all’arte e qualsiasi altro percorso universitario e la racconta fiera degli studenti, della rigidità del corso di studi, dell’atmosfera famigliare che regola rapporti ragazzi-docenti e che la rende ancora più speciale: “E’ una grande famiglia, dove ci si confronta, si impara, si cresce e si fanno esperienze speciali”. Nel 2009 i ragazzi hanno lavorato per il G8, i doni ai potenti del mondo venivano da laboratori della scuola e dagli artigiani castellani. E’ anche un luogo frequentato da 6.000 visitatori l’anno, con dentro tre musei di cui uno, stupefacente, di ceramica contemporanea con pezzi rarissimi e impensabili dentro e un altro, mozzafiato, che è un presepe monumentale in ceramica in mostra permanente, nato fra gli anni ’60 e ’70 come dono spettacolare dei migliori artisti di design, aperto tutti i giorni, sabato compreso e domenica su richiesta, a disposizione dell’Abruzzo!
In uno degli spazi solari ci sono Dario Oggiano ed Elisabetta Di Bucchianico alle prese con gli ultimi ritocchi all’esposizione dei lavori del workshop: gli oggetti parlano da soli e una lingua artistica completamente nuova che, forse, potrebbe essere la via da seguire per ritrovare un posto in prima fila nell’artigianato internazionale per le ceramiche e gli artigiani di Castelli. “Durante i tre giorni del workshop abbiamo visto la nostra idea decollare subito nella fantasia dei partecipanti – racconta Dario mentre illustra una singolare brocca con tanti piedi, raffigura un “Inizio” stabile e traballante insieme – Volevamo che utilizzassero le forme storiche della ceramica di Castelli, in modo del tutto inedito, per raffigurare oggetti che simboleggiassero emozioni, cose immateriali. Il risultato sono oggetti che hanno quasi una vita propria, non sono decorati, perché i decori saranno oggetto di workshop futuri, ma parlano la lingua della storia artistica di questo posto straordinario”. Lo spirito di quell’esperienza trasuda nelle brocche incatenate per raffigurare l’Amicizia, quelle a cuore per l’Amore, quelle visionarie del Sogno, della fantasia: “Eravamo tutti presi da una febbre creativa bellissima – spiega Elisabetta – che anche nelle pause non aveva freni. Sarebbe bello restituire parte di quell’energia a questo posto, per vederlo tornare ad essere ciò che deve dentro e fuori dall’Abruzzo. Noi ci proveremo portando questa mostra in giro, raccontandola, facendola raccontare, proseguendo il nostro lavoro, con la consapevolezza del valore di un’arte che deve rigenerarsi perché è un pezzo della nostra storia”.
Il futuro è l’emozione di Alessandro, uno degli studenti della scuola che ha partecipato al workshop. Non è di Castelli, è all’ultimo anno e mentre racconta il perché delle brocche incatenate dell’Amicizia svela che proseguirà il suo percorso artistico, dopo aver scoperto la scuola grazie alla tenace insistenza del padre che gliel’ha rivelata cinque anni fa: “Le abbiamo pensate legate anche perché hanno una particolarità che le rende speciali – così racconta l’a sua personale esperienza fatta con il workshop – per poterle spostare c’è bisogno di più mani, perché l’umanità solidale. E’ stato un pensiero comune realizzarle così,m a ci siamo arrivati subito tutti insieme. Un pensiero nato facilmente che abbiamo cercato di realizzare al meglio per dare valore all’esperienza che stavamo vivendo e al posto dove questa esperienza è nata che è un po’ casa anche nostra”.
(foto Di Peco)