“Non sono un pescatore, ma storicamente i trabocchi non li fecero mica solo i pescatori! Molti furono contadini, che attraverso la pesca riuscivano ad avere dal territorio tutto quello che gli serviva per vivere”. Ha un cognome di quelli che non si dimenticano Giuseppe Caravaggio, che stringe deciso la mano a chi varca la soglia del trabocco di famiglia, quello di Valle Grotte, a San Vito, dove presto si accenderanno i
riflettori di Cala Lenta, la rassegna enogastronomica della Costa dei Trabocchi promossa da Slow Food e che ai trabocchi dedica una sezione speciale, fatta di storia, iniziative e visite. Il canto delle cicale accompagna il breve tragitto dalla strada all’ex tracciato ferroviario, fino al pontile sospeso sulle spiagge di sassi frequentate dalla gente del posto. Rive dove si ritrova un turismo di altri tempi, fatto di ombrelloni, spiaggini, cappelli per ripararsi dal sole e pranzi al sacco. Una presenza silenziosa sotto le strutture fantastiche dei trabocchi, che segnano tutta la costa alta da San Vito verso sud.
“Questo lo abbiamo ricostruito grazie alla legge regionale che ha fatto rivivere tanti antichi trabocchi”, dice Giuseppe, Peppe, per chi lo conosce. La sua è una delle tante voci dei traboccanti che hanno creduto in questa silenziosa presenza, hanno investito e combattuto, anche, quando la ristorazione che si è andata sviluppando su di essi è stata vissuta come una minaccia e un Moloch dai ristoratori della terra ferma. “Qui paghiamo tutte le tasse e anche di più, abbiamo tutto in regola e per via della tracciabilità dei prodotti, non possiamo usare il pesce che resta nelle reti del trabocco – dice Peppe, sfogliando i giornali che testimoniano il cammino per affermare l’identità enogastronomica dei trabocchi, prima combattuti, oggi rappresentati come una delle ragioni forti per frequentare quella costa, da istituzioni e soggetti corali del territorio.
“I trabocchi sono qui dal 1200, non tutti sanno che a costurirli furono i contadini, poi arrivarono i pescatori, ma la fortuna di queste macchine da pesca non durò a lungo, perché pescare con la barca era più redditizio. Mantenere un trabocco, invece, è sempre stato problematico”. Una struttura fatta tutta di legno, storicamente era il legno delle querce, o delle robinie tagliate dall’entroterra, poi, con l’avvento della ferrovia, i traboccanti scoprirono anche il ferro dei binari e usarono quello per rafforzare i pali che affondavano in mare, che venivano ancorati agli scogli sopra cui il trabocco prendeva forma e vita. “Io ne ho conservato uno saltato con una bomba della guerra – continua Peppe mostrando quello e tanti altri reperti dal passato architettonico dei trabocchi – Per tanto tempo i trabocchi sono stati dimenticati, solo uno, quello di Punta Cavalluccio, sopravvisse al tempo. E’ stata la legge regionale che consentiva il recupero a salvarli e molti traboccanti sono tornati, ci hanno investito, li hanno rifatti
in modo più solido per ritrovare un pezzo di storia della costa e mantenere le tradizioni del territorio”. Il trabocco di Valle Grotte è rinato in due anni. Peppe lo ha ricostruito con il figlio, che si è laureato con una testi storica proprio sui trabocchi, lo hanno rimesso in piedi asse dopo asse, come documentano le foto suggestive di quella ricostruzione: “Avevo dentro tanta voglia di volerlo finito che lo abbiamo rifatto in due anni – dice – ci siamo ancorati a due scogli e lo abbiamo ricreato, è stato bellissimo”.
Oggi è la principale occupazione per la famiglia: sua moglie, ex commerciante, è l’addetta alla cucina, la figlia, laureanda in legge, il motore di iniziative e attività, lui, infine, la memoria storica. “Con l’enogastronomia questa costa ha rialzato la testa, grazie ai trabocchi è diventata un’attrattiva per chi non conosce l’Abruzzo o per chi, abruzzese, non ci è mai venuto su un trabocco. Vengono tanti stranieri e restano a bocca aperta perché non si aspettano un posto così particolare da visitare, in cui trascorrere del tempo. Un posto dove si assapora il territorio, perché nei piatti noi ci
mettiamo tutto quello che si coltiva qui, il nostro olio, i prodotti che si trovano da sempre lungo la Costa”. Piatti di pesce azzurro, per lo più: paste di scoglio e frutti di mare, polpette di pesce, cozze ripiene, tortini di alici, e le serate trascorrono accarezzate dalla brezza di mare, quando il tempo lo consente. Serate, sì, perché a pranzo non sempre è possibile godere di vista e sapori dei trabocchi, domeniche e occasioni speciali a parte.
Una costa bella e discussa, prima per l’attesa del parco e della via verde che potrebbero renderla ancora più famosa, ma, soprattutto, più fruibile, frequentata e protetta, da ogni tipo di minaccia. Quella più incombente ha il nome di un pesce innocuo e la forma di un altro tipo di ragno che dai trabocchi si intravede sulla linea dell’orizzonte, Ombrina. Il territorio, per ora, si difende da quello che potrebbe rappresentare per quelle coste e per quelle conquiste e va avanti per la sua strada, fatta di eccellenze naturali, che nascono spontanee lungo i pendii di quella quella costa alta che fa da scenario ai trabocchi e li riempie.
“Il bello di questa costa è proprio il fatto che è ancora selvaggia – conclude Peppe – Ci abbiamo messo anni per farla tornare a vivere, fino al 2000 i trabocchi non c’erano più, oggi in 34 km di costa ce ne sono una trentina che rappresentano un’opportunità per le generazioni dei nostri figli, che dovranno inventarsi un lavoro per costruirsi un futuro. Potrebbe essere questo, gioverebbe a loro e al territoio, per questo ci preme tanto difenderlo”.
Cala Lenta, il programma