La chimica era una possibilità, la dimensione di suo padre. La cucina un fuoco acceso fra la Svezia e la Francia, il mondo di suo nonno. La birra Jurij Ferri ha cominciato a farla in casa più di 11 anni fa, grazie ad un’intuizione di sua moglie Valeria: e da allora è diventata la loro nuova vita. Ma quella segnata dalla birra Almond 22 è una vita piena di “fermenti”: perché c’è la chimica del padre scienziato, a causa di cui Jurij ha vissuto e viaggiato fra Napoli dove il professore insegnava, Stoccolma dove viveva con la moglie e l’Abruzzo da cui era partito e c’è la passione per la cucina del nonno chef , coltivata con la madre dalla Svezia, perché lui la esprimeva in Francia, era capo maître al Moulin Rouge.
“Ho iniziato 11 anni fa con una pentola d’acciaio e 25 metri quadri”, decide di raccontarsi in una limpida mattina di ottobre. I tratti svedesi, il piglio tenace e sognatore da italiano: ripercorre i suoi ultimi 11 anni senza stanchezza, anche se ha al suo attivo 48 ore di sonno da recuperare, perché è di ritorno da una maratona a base di
pizza napoletana e romana a Caiazzo, ristorante Pepe in grani, con gli amici e chef Gabriele Bonci e Stefano Pepe, dove ha portato e spillato la sua birra. “Sì è cominciata in casa, fare la birra piaceva a Valeria, mia moglie – racconta – Il mio mondo invece è la cucina e il sogno che avevo era quello di diventare chef. Colpa di mio nonno che è stato un grande chef e della passione di mia mamma, che sin da quando avevo 7 anni mi ha lasciato libero di cucinare e sperimentare le mie invenzioni con gli amici che venivano a casa. Ma anche mio padre portava in cucina la sua passione per la chimica e in famiglia un po’ tutti si esprimevano bene cucinando. Così ho imparato. Ma poi le cose sono andate diversamente: ho cercato una strada con la chimica, poi con la geologia, infine la carriera da consulente e insegnante di inglese, finché la birra non mi ha restituito quello che volevo davvero fare”.
Una scoperta fatta di profumo, di sapore, di ricerca e curiosità, incessante, elementi finiti dritti dritti nella prima birra Almond e che poi hanno contaminato il suo modo di fare le altre.
“Abbiamo cominciato sotto un palazzo antico di Pescara Colli – riprende – una costruzione dell’800 dove si sbucciavano le mandorle che venivano impiegate per il parrozzo, per i confetti. Era un posto di lavoro che ci ha ispirato e che è diventato il nome della nostra birra, il marchio, Almond=mandorla. Quando ho scoperto che il mio primo distributore da piccolo veniva a giocare lì dove noi stavamo producendo birra, mentre sua nonna sbucciava le mandorle, ci ho visto un segno del destino”. La prima birra è stata la Fredric, il nome del primo figlio, poi se n’è aggiunta un’altra, e un’altra ancora, tante altre e gli orizzonti si sono allargati, per volare alto nel panorama della birra artigianale d’Italia e varcarne i confini.
“Ho scelto di continuare la produzione a Spoltore quando mi sono ritrovato davanti il cielo che si vede dal belvedere su cui si affaccia la nostra sede attuale. Lo so, è folle, ma è magnifico fare birra con un panorama tale davanti. Quello di una valle che ai tempi dei romani era la valle del farro, tanto che il nome di Spoltore deriva proprio da questo. Ancora un segno del destino. Io volevo cucinare, sono diventato un birraio di seconda generazione: la prima in Abruzzo è stata distrutta quando imposero l’imbottigliamento”. Un birraio tenace, tenacemente convinto che per fare birra buona devono essere buone
anche le materie prime usate. La sua storia gli ha dato ragione: così, all’inizio aveva un impianto da 130 litri, oggi sono diventati 1.300, fra due saranno 3.500 e poi chissà. Ferri è anche il motore del primo Polo della Birra Artigianale che sta prendendo corpo proprio a Spoltore, presentato al pubblico giorni fa (leggi l’articolo), a pochi mesi di distanza dal suo nuovo traguardo, il più importante di tutti: un nuovo stabilimento, agriturismo, dove fare birra, cucinare, accogliere, formare, coltivare, sperimentare, nuove idee “folli” da mettere in pratica. Nascerà a Loreto Aprutino, riassumendo in tutti i progetti che contiene i frutti di 11 anni di birra: superficie interna coperta 670 metri quadrati, superficie esterna coperta 300 metri quadri, giardino perimetrale 1800 metri quadri, espansione cantina fermentatori fino a 15.000 litri. Ma a Spoltore il birrificio resterà, si riconvertirà in qualcosa di nuovo, sidro.
“Quando ho iniziato eravamo in 4 in Italia, io il primo in Abruzzo, oggi siamo quasi 600, ma se fossi rimasto solo questa realtà non sarebbe emersa – continua – Poi sono arrivati anche i premi, li accogli con il sorriso e li metti nel cassetto perché è più importante l’espressione di chi viene da te e assaggia quello che fai. Impagabile, come sentirti chiamare da New York da un amico che sta bevendo la tua birra. Così ho capito che era nel mio Dna: cominciavo a fare birra a 30 anni, ma cucinavo da 23 anni ed era una cosa facile con un Dna come il mio fare entrambe le cose. Tanto “facile” che sin da quando abbiamo cominciato a fare birra stampiamo le etichette prima di assaggiarla ed è sempre come l’avevamo immaginata”.
Miracolo? No, chimica, anzi, alchimia. Quella che da 11 anni vede la Almond fra le migliori birre d’Italia, che si ripete nelle birre crude ad alta fermentazione che producono e si bevono tanto anche all’estero (scopri quali), che lui e il suo affiatatissimo staff, tre giovani, nel birrificio fanno usando spezie annusate viaggiando, o scoperte in parti amate d’Italia come la Calabria. Agrumi, sentori di frutti tropicali, mieli, i più svariati, materie prime di alta qualità, come l’acqua e la produzione etica, perché il prodotto rispecchi in tutto il Dna del creatore. “Mania” valsa a Ferri l’onore di essere testimonial abruzzese per il Gambero Rosso nella guida Foodies 2013, ma che lo rende “popolare” al punto da decidere di essere birra ufficiale anche della Pescara Calcio.
Una mania, infine, che lo lega ad un altro alchimista, però del vino, Valentini. “Francesco è venuto da me 8 anni fa che ero ancora a Pescara e non lo riconobbi sulle prime: voleva sapere tutto della fermentazione. Mi chiese un cartone di birra farrotta, siamo stati a parlare ore prima che capissi chi era. Da allora siamo diventati amici, è uno scambio di visioni che lascia sempre qualcosa a entrambi”. Mondi diversi il vino e la birra, con diversi problemi da affrontare, anche se i più grossi li ha la birra, causa le accise che aumentano sull’una e non esistono sull’altro, tagliando ricavi, mercati e investimenti ad una fetta di artigianato che è eccellenza per i territori, non tendenza, come sarebbe facile credere.
“Bisogna essere un po’ folli per decidere di diventare artigiano di questo mondo – precisa – Da 9 anni il prezzo della birra è bloccato le accise triplicate. Il primo gennaio scatterà il un altro aumento, il primo è già applicato, con l’accisa al 35 per cento e sempre e solo sulla birra. Perché? Perché gli altri artigiani sanno proteggersi meglio. Perché, forse, quel 1,5 per cento di mercato che abbiamo preso con la birra dà fastidio all’altro mondo. Subiamo la baronìa del vino, non possiamo scrivere sulle etichette birra artigianale se è servita in bottiglia, per avere agevolazioni c’è chi sta virando verso lo status di birrifici agricoli, cioè coltivando cereali. Non è semplice quando un terzo della birra se ne va in balzelli. Ma non è impossibile quando si ha a che fare con la determinazione: ora, visto che la parola “artiginale” non si può usare stiamo pensando di coniare una definizione forte, “birra indipendente” nelle prossime etichette, perché il nostro valore aggiunto emerga”.
L’ultima creatura è pronta, si chiama Hibernum, ha dentro di sé il sapore dei limoni di Calabria, il sapore leggero, ma il gusto forte e sfrontato delle birre che si fanno ricordare, o come dice lui: “Hibernum Triple chiara da 9% alcool. Spaventosamente facile da bere”. Se volete degustarla accadrà a Pescara per la notte di Halloween: giovedì sera Jurij Ferri sarà al birrificio Leardi in via Cesare Battisti a spillarla.
(si ringrazia per le foto tratte dal profilo Facebook Almond)