Per arrivare alla “scuola” bisogna attraversare tutto il centro storico di Atri. Il Duomo con la Porta Santa, i vicoli che risalgono verso il Comune, la piazza davanti a Palazzo di Città, che con la luce strada di questa estate non estate sembra davvero immersa in atmosfere medievali, d’altri secoli. Il portone che si apre nel ventre di un palazzo antico è socchiuso, Vincenzo Melchiorre Ricci ci accoglie dietro i suoi occhiali con un’espressione furibonda: “Scusate, sono arrabbiato, ma parlando mi passerà”. Lui è il cuore e il motore del Green Hills in Blues, l’International Blues Festival che si svolgerà il 19 e 20 luglio e che va avanti ad Atri da 12 anni, 13 con quest’anno.
E’ arrabbiato perché la nuova edizione era in forse: burocrazia, lungaggini, promesse non mantenute a due settimane dall’inizio della rassegna che con gli anni è diventata bella e importante e ha portato nella cittadina ducale migliaia di spettatori e magari qualche milione di euro di felicità per commercianti, ristoranti, insomma, indotto. “Io non mi ci sono arricchito – dice Vincenzo recuperando un panama e la sua chitarra per far sfumare le tossine – tutto quello che faccio lo faccio perché mi fa sentire libero, mi rende felice, realizza dei sogni che non possono stare in tasca”.
Così dal suo cassetto da musicista 17 anni fa è venuta fuori prima l’Associazione Culturale Otis Redding, che radunava una decina di appassionati di blues, intenzionati a contagiare il resto del mondo. Un tributo a Otis, re del blues e a tutti gli altri, Picket compreso. Poi il Green Hills, in onore delle colline atriane che, rotte dai Calanchi, sono davvero verdi, come il blues che l’evento le racconta. E quanti nomi, prima sconosciuti, poi diventati stelle hanno suonato nella piazza Duchi d’Acquaviva, ad Atri, quella proprio davanti al Comune, una vera e propria cassa armonica per i suoni e le atmosfere che solo il blues sa regalare. “Nella mia vita ho sempre suonato”, racconta Vincenzo, una volta si faceva chiamare Daddy
Butterfly, perché suo padre lo chiamava farfalla e perché era un nome “blues”. “Ho suonato anche fuori che ero giovanissimo, in Germania, dal 1966 al ’69, scoprendo un mondo diverso dal nostro, dove chi suonava era considerato un lavoratore come tutti gli altri e doveva rispettare le regole che con lui il governo rispettava. Ad ogni serata mi presentavo con il libretto di lavoro e anche se quella parentesi è durata solo qualche anno, oggi ho anche una pensione di 30 euro al mese che mi arriva da lì. Per dire che noi in Italia non abbiamo ancora una legge che promuova e tuteli la musica e chi la fa. Perché questo non viene considerato un lavoro. E io mi definisco un operaio della musica! Vabè”.
Invece lo è. Lui musicista non lo è diventato, in fondo lo è sempre stato, anche quando aveva un celeberrimo negozio di dischi dove si trovava l’impossibile, chiuso qualche anno fa, quando ha deciso di andare in pensione e dedicarsi solo al blues. E musicisti sono anche i sue due figli, uno ha 39 anni e la suona e la insegna, gomito a gomito col padre nella sede della scuola, Gian Maria Melchiorre Ricci; l’altro, di 35, è una bella promessa, non solo blues, ma anche reggae e rock, Alex Ricci, con gli Après, giorni fa si è esibito anche ad Estatica, porto turistico di Pescara, ma di giri ne fa e la sua fama
sta crescendo. “A loro ho sempre detto di fare quello che volevano – chiarisce Vincenzo-daddy – La passione vince su tutto, hanno studiato, si sono formati e ora gli danno sfogo”. Chissà quanto ha influito crescere con le note e le facce di tutti quei musicisti che il padre ha richiamato ad Atri.
Sono arrivati dall’America, dall’Inghilterra, quest’anno ne arriverà uno giovanissimo, anche dall’Africa, dal Camerun, stella della nuova edizione, in cui si esibiranno anche r.J. Mischo, Bob Malone e la Malina Moye Band che sarà sul palco prima di Roland Tchakounte, rivelazione, forse, di tutto un mondo blues che ad Atri viene con piacere e la gusta, nel vero e proprio senso del termine: “Ho scoperto che i musicisti fra di loro facevano passa parola – racconta il “patron” – Qui trovano un ambiente tranquillo, mangiano bene, bevono bene, arrivano con le idee chiare su come spendere i giorni di permanenza: spaghetti, peperponcino, montepulciano, salsicce, il pecorino, gli gnocchi, vogliono assaggiare i nostri prodotti e lasciano perdere i consigli che gli danno le loro agenzie. E poi, una volta tornati in patria, raccontano che hanno fatto e mangiato e ci fanno promozione! Quando il Festival era di quattro giorni lo chiudevamo con una cena, dietro il palco, la domenica: facemmo del pecorino sottolio, lo facemmo noi, se lo finirono leccandosi i baffi. Ricordo che nel 2007 venne Joe Bonamassa, mezzo italiano, mezzo abruzzese, quando suonò vennero anche i cugini di Pineto a ritrovarlo, un prodigio, ha suonato anche alla Royal Albert Hall. Beh, il giorno andò in giro per Atri e si mise a mangiare in un ristorante dove suonò per tutti, anche quelli che non lo conoscevano! E Ray Sugar Norcia, un altro mezzo italiano, che nella hall si mise a strimpellare il pianoforte dell’albergo”.
Tanti ricordi e tante foto, appese alle spalle mentre si fa intervistare. Una fucina di volontà e talenti, quella di Ricci, che dopo il Festival diventa sala di registrazione, scuola per musicisti in erba, sala prove per i tanti giovani locali che di posti e opportunità nella musica non ne hanno poi tanti. A loro lui dedica “La notte bianca del blues, integrante del Festival, prevista per sabato 20, in cui il cibo vero è la musica, disseminata in vari punti di Atri.
“Il mio sogno è aprire una parentesi blues-abruzzese – dice strimpellando il blues e inserendoci dentro il ritmo della tarantella – Vedi? Funziona, sono due generi fratelli! Una volta lessi che uno storico musicologo americano, John Lomax, nel delta del Mississippi scovò un musicista che faceva un blues diverso, con echi popolari, era abruzzese! Qualche anno dopo mandò il figlio Alan che era in tournè in Europa, a Scanno, dove rimase un mese per studiare i nostri canti popolari e registrare tutto quello che poteva accostarsi al blues. Ne uscì un disco fa-vo-lo-so. Io sono in contatto con alcuni musicisti che fanno questo abbinamento e a cui presto darò spazio e voce, il futuro è questo, che la manifestazione cresciuta bene, senza coltivare competizioni o distanze con le altre che non sono le uniche nella nostra regione, faccia da palcoscenico vero per i giovani talenti, per i talenti meno conosciuti, per l’Abruzzo che speriamo abbia sempre meno bisogno della politica per farsi conoscere”.
(foto Di Peco)