[box_light] In occasione della Conviviale Natalizia dell’Accademia Italiana della Cucina organizzata dalla delegazione di Milano, Francesca D’Orazio Buonerba (Ladyerbapepe.com) ha scritto un piccolo libro di cucina con il racconto delle tradizioni natalizie abruzzesi. Francesca D’Orazio, che di frequente torna in Abruzzo per le sue sue lezioni di cucina, ha partecipato anche all’elaborazione del menù tutto abruzzese che è stato preparato in occasione della conviviale e che ha suscitato grande apprezzamento da parte degli invitati, in particolar modo prodotti come i pecorini di Farindola e della Valle Scannese, l’Olio Vestino dop, le confetture e i prodotti sott’olio dell’azienda Dora Sarchese, i torroni di Guardiagrele, di Atessa e dell’Aquila, e la patata turchesa del parco Gran Sasso e Monti della Laga. Oggi pubblichiamo un estratto del libro scritto da lei, che ci regala la suggestione del rito de “La Squilla” e tanti altri preziosi frammenti delle nostre tradizioni, come quello della preparazione delle squisite scrippelle ‘mbuss [/box_light]
Si era già a casa dei nonni, in trepidante attesa. Ai primi rintocchi della campana, quel suono così allegro – noi piccoli esultavamo subito – ci annunciava l’arrivo del Natale. Ancora una volta, si compiva la magia.
A Lanciano, il paese di mia madre, è tutt’oggi molto sentita la tradizione de la squilla: la sera del 23 dicembre, dalle 6 alle 7, suona ininterrottamente la campana della Torre civica. Quel suono richiama tutti e invita ad andare a casa, a riunirsi con la propria famiglia, a dimenticare dissidi e discordie che casomai si sono verificati durante d’anno. È una tradizione che ricorda il pellegrinaggio a piedi scalzi che l’arcivescovo della cittadina, a fine ’500 compiva verso la chiesa dell’Iconocella, a tre chilometri di distanza.
Un’ora piena di significato spirituale, di pace e armonia, di sorrisi e di strette di mano. Noi, a sera, ripartivamo da Lanciano per tornare a Gessopalena, il paese della famiglia di mio padre. Si tornava a casa con cuori esultanti e trepidanti, con la carezza del nonno, e il pacchetto dei taralli di nonna Tilde, quelli con la scrucchiata, la confettura d’uva. Quei dolci non erano nella tradizione di casa degli altri nonni: a soli trenta chilometri di distanza si preferivano i celli pieni con il miele e le mandorle.
In Abruzzo, la sera della Vigilia, dopo il lungo digiuno, molti seguono ancora oggi la tradizione delle sette o nove (o anche tredici) piccole pietanze. Da scegliere tra gli immancabili fritti – in casa nostra quelli di baccalà, le crispelle (chiamate anche scripppelle o crustele, o sciosci… una pasta lievitata a base di farina e patate), il capitone (fritto, o arrostito con la foglia d’alloro), il baccalà, arrostito, con i peperoni (anch’essi arrostiti, e messi nei barattoli durante l’estate), le sarde; le zuppe di legumi (come quella di ceci con il pane fritto, di ceci e castagne, di lenticchie), oppure i fedelini o linguine con il tonno (o con le alici). A seguire, pesce in brodetto o fritto; nella zona di Vasto non mancherà la scapece, che lì prevede anche l’aggiunta dello zafferano. Frutta secca a conclusione del pasto serale, qualche carracine (fichi secchi), delle mandorle ’nterrate oppure i torcinelli, o le crispelle, spolverate con dello zucchero.
A sera, prima della Messa, l’accensione del ceppo (tecchio): viene posto nel focolare il pezzo di legno d’ulivo più grande, in ricordo del fuoco che San Giuseppe accese per far scaldare la Madonna che doveva partorire.
Il menu del giorno di Natale cambia di zona in zona, di casa in casa, seguendo le differenti tradizioni e gusti, e secondo i prodotti locali disponibili.
S’inizia con l’antipasto, a base di formaggi e di insaccati: mortadella di Campotosto, lonza, salami tradizionali, salsicciotti, prosciutto e prosciuttella, Ventricina del Vastese, per citarne alcuni; conserve sott’olio, le olive curate.
Seguirà un piatto di brodo di carne, soprattutto di gallina o di tacchino, o anche di cappone. Nel brodo andrà il cardone (o altra verdura, come la scarola), si uniranno polpettine di carne o di formaggio (alcuni usano mettere le rigaglie di pollo), pizza rustica a base di uova e formaggio, o di semolino, oppure stracciatella. In molte case del teramano il brodo bollente sarà versato sulle scrippelle, sottilissime crêpes cosparse di pecorino grattugiato e avvolte come fosse un cannellone.
Si prosegue con i timballi di pasta fresca o di scrippelle, oppure ravioli (in alcune zone chiamati anche gravioli ), ma anche chitarra al ragù.
Seguiranno le carni lesse, quelle utilizzate per fare il brodo, la gallotta (gallina ripiena) oppure il tacchino al forno, alla canzanese o alla neretese; per qualche famiglia il coniglio(imporchettato) o il pollo ripieno; ma alcuni ricordano la hallina prene, la gallina ripiena con carne di vitello, mosto cotto, mandorle, molte spezie, zucchero (ormai in disuso), mentre oggi sempre più spesso sulle tavole abruzzesi compare l’agnello o il capretto, disponibili ora tutto l’anno.
Verdure di stagione accompagnano il piatto di carne: dalle rape stufate o rifatte con aglio, olio, peperoncino e peperone dolce secco, alle verze, al cavolfiore che spesso è servito fritto, insieme col finocchio o il sedano; ci sono poi zone in cui si prepara anche della crema fritta.
Seguirà la frutta, tra cui l’uva (raccolta a settembre e sapientemente conservata appesa), le arance, i mandarini, e tanta frutta secca, tra cui i fichi, essiccati al sole, coi quali in alcune zone si prepara anche il libretto o libretta, dalla forma rettangolare ottenuta mediante un torchietto. I fichi, appiattiti, sono composti a strati, insaporiti con cannella, cedro candito, scaglie di cioccolato, mandorle tritate.
Ci saranno i torroni: quello morbido dell’Aquila con nocciole tostate, caratterizzato dalla presenza di cacao nell’impasto. Quello di Guardiagrele, che è simile ad un croccante, speziato, e quello di Atessa, bianco, preparato con il miele.
Finalmente si apriranno le guantiere dei dolci…
Per la festa più attesa dell’anno il rituale è sempre lo stesso: nonne, zie, mamme, amiche, tutte insieme in cucina per condividere la preparazione dei dolci tradizionali che accompagneranno tutto il periodo delle feste. Non solo per la famiglia, ma anche per i vicini, per gli amici, perché ancora oggi per molti la guantiera con l’assortimento dei tipici dolcetti rimane il regalo con cui scambiarsi gli auguri.
Si va dalle Sfogliatelle e calcionetti, ai celli pieni e taralli, dalle ostie farcite ai mostaccioli (a Sulmona scarponi) da intingere nel vino cotto, fino a pepatelli e torroncini. In molte case si preparano anche i bocconotti con il ripieno di scrucchiata, ma nell’area del Sangro il ripieno diventa soffice, di mandorle e albumi. A Castel Frentano, invece, si ha una crema fatta con cioccolato cotto a lungo con zucchero, cui si aggiungono mandorle, tuorli d’uovo, cannella.
Nella zona del Sangro, ma anche in quella del Parco Nazionale, il dolce finale della tradizione è il cervone (chiamato anche serpentone, o capitone) a forma di serpente attorcigliato, fatto con pasta di mandorla, ma con molte varianti a seconda della zona, farcito con cioccolato che nasconde un’anima di mandorle bianche.
Non mancano dolci derivanti da un pane, successivamente addolcito, Pan dell’Orso di Scanno o Parrozzo di Pescara o il Pan Ducale di Atri.
E ancora, madorle pralinate o ’ndrrate, avvolte nello zucchero o nel cioccolato, che ricordano i tradizionali confetti, mentre nel teramano si privilegia il croccante.
Ferratelle, neole, pizzelle e cancelle non mancano mai nelle case, anche se non strettamente legate alle festività natalizie. Gli stessi nomi, a seconda delle zone, indicano le tipiche cialde, più o meno sottili, in versione morbida o croccante, cotte tra le piastre di un ferro (che ogni sposa portava in dote, forgiato con il proprio monogramma o con disegni), cotte anticamente sul fuoco, per il tempo di un Ave Maria o Pater Noster…
Di pazienza ne occorreva tanta per preparare questi dolci; quasi tutti richiedono procedimenti lunghi e piuttosto complessi, niente ricette precise cui attenersi, tutto è lasciato alla tradizione orale, alla sapienza di chi ad esempio prepara ogni anno le stesse sfogliatelle e avrà capito gli accorgimenti da utilizzare. E allora conta molto di più vedere, rivedere e partecipare alla preparazione, sentire i profumi, toccare le consistenze, assaggiare.
L’ingrediente principe di tutti questi dolci è la mandorla, con il suo significato allegorico della vita che si rinnova, ma in dispensa non può mancare il mosto cotto, dolcificante primordiale con cui a Ortona si preparano le nevole, delle cialde sottilissime dal caratteristico colore ambrato, che vengono arrotolate come dei sigari.
Si utilizza anche il miele – rinomato quello di Tornareccio – la scrucchiata (confettura d’uva), a volte le noci, e per aromatizzare ricorrono spesso l’arancia, ma anche la cannella o il cedro candito.
I ripieni a base di legumi o di castagne ci raccontano di fantasia e di abilità nell’utilizzare ciò che si aveva a disposizione, così come il vino bianco che conferisce dolcezza e sapore agli impasti.
Niente burro, ma olio, e in alcuni casi lo strutto; pochissime volte impiegate le uova, poco disponibili in questo periodo dell’anno.
Con il dolce arriva in tavola il vincotto: mio nonno teneva tantissimo a questo vino liquoroso che, come dice la parola stessa, è cotto per ore. Lo si imbottigliava con la targhetta dell’anno, per ricordare ad esempio la nascita di un figlio: questo vino sarebbe stato stappato in occasione del matrimonio del figlio stesso.
E’ uno dei piatti emblema della gastronomia teramana, di squisita semplicità ed eleganza. Si prepara nei giorni di festa, anche se a Natale a Teramo e provincia molte famiglie mettono nel brodo delle verdure (spesso la scarola) con della stracciatella. Le scrippelle, invece, si preparano per il sontuoso timballo. Ma farà comodo avere anche questa ricetta perché è un piatto così buono (e consolatorio) che sarà una piacevole scoperta.
Le crêpes, sottilissime, un velo, sono preparate con l’acqua; la fiamma deve essere molto bassa e quando si versa il composto nella padella, con gesto molto veloce, bisogna togliere subito la parte in eccesso.
Una volta preparate, si sparge del pecorino (o grana, se si preferisce), si arrotolano, si mettono nel piatto e vi si versa del brodo di carne bollente.
Ingredienti:
4 uova grandi
150 grammi circa di farina 0 500 millilitri circa di acqua olio extra vergine d’oliva sale
pecorino
1.8 litri di brodo di gallina
In una ciotola battere leggermente le uova, unire la farina setacciata e diluire con l’acqua. Lasciare riposare per almeno mezz’ora. Se si sono formati dei grumi, passare il composto attraverso un colino.
Aggiungere mezzo cucchiaio d’olio e mescolare bene. Riscaldare una padella antiaderente tenendo la fiamma bassa.
Prendere un mestolo d’impasto e versarlo nella padella,
facendo sì che il composto sia distribuito uniformemente su tutta la superficie; eliminare l’eccesso. Quando i bordi si staccheranno facilmente, girarle e farle cuocere brevemente anche dall’altra parte.
Scaldare il brodo preparato in precedenza.
Sspolverare del formaggio su ognuna e quindi arrotolare le crêpes, una alla volta. Dividerle a metà o in tre parti e disporne due o tre pezzi in ogni piatto fondo. Sulle scrippelle versare due-tre mestoli di brodo bollente.
il blog di Francesca D’Orazio Buonerba