Lo scorso anno 16 milioni di famiglie italiane (due su tre) hanno tagliato gli acquisti per la tavola, con un calo del 3,2 per cento rispetto al 2011. A tavola meno carne, pane, pesce, frutta, verdura, latte, vino e olio. Per mangiare si spende più al Sud che nel resto d’Italia. Negli ultimi cinque anni la voce “alimentazione” ha visto scomparire più di 20 miliardi di euro. E’ quanto emerge in una indagine della Confederazione italiana agricoltori (Cia) anticipata in occasione della VII conferenza economica in corso a Lecce.
Secondo l’indagine la crisi è entrata di prepotenza nel carrello della spesa alimentare. Più di 16 milioni di famiglie italiane nel 2012 hanno tagliato gli acquisti per la tavola, con un calo dei consumi del 3,2 per cento rispetto al 2011. Siamo tornati ai livelli degli anni ’70, nel momento dello shock petrolifero, in soli cinque anni l’alimentare ha subito un “colpo di scure” di circa 20 miliardi di euro, 8 miliardi solo nell’anno passato. Per mangiare si spende, in valore, piu’ al Sud (484,40 euro a famiglia) rispetto al Nord (473,50 euro) e al Centro (479,30 euro), mentre la quantità dei prodotti ha imboccato una caduta libera. Si risparmia sul cibo per far fronte alle spese per gas, acqua, luce, carburanti, mutui, affitti, mentre si va alla ricerca di prodotti meno pregiati e di scarsa qualità che hanno prezzi piu’ accessibili. All’alimentazione ogni nucleo familiare ha destinato 5.760 euro, poco più del 19 per cento della spesa complessiva, pari a circa 30mila euro l’anno. Per fronteggiare le difficoltà economiche, le famiglie ormai puntano all’essenziale – sottolinea il report della Cia- ed evitano spese superflue. Si sono tagliati prodotti come la carne rossa, soprattutto i tagli pregiati, il vino a denominazione d’origine e l’olio di alta qualità, ritenuti troppo costosi. Al contrario, è cresciuto il consumo di pasta (0,9 per cento), in quanto viene considerato un piatto che da solo puo’ fare pasto con una spesa minima.
La crisi ha così costretto gli italiani -sottolinea il report della Cia- a riorganizzare completamente la spesa alimentare: il 65 per cento delle famiglie compara i prezzi con più attenzione; il 53 per cento gira più negozi alla ricerca di sconti, promozioni e offerte speciali; il 42 per cento privilegia le grandi confezioni o “formati convenienza”; il 32 per cento abbandona i grandi brand per marche sconosciute come i cosiddetti prodotti di primo prezzo; il 24 per cento ricomincia a fare cucina di recupero con gli avanzi della cucina. Inoltre più del 16 per cento delle famiglie rinuncia del tutto a pranzi e cene fuori dalla mura domestiche (ristoranti, trattorie, tavole calde, fast-food, pizzerie). Per evitare spese inutili, la famiglia italiana ha da tempo abbandonato anche l’idea di riempire settimanalmente il carrello e cosi’ la spesa si fa in maniera quotidiana, con maggiore oculatezza.
Nell’analisi territoriale della spesa alimentare si rileva -si sottolinea nel report Cia – nelle regioni del Nord il 35 per cento delle famiglie ha limitato gli acquisti (il 43 per cento ha ridotto le “voci” pane e pesce, del 37 per cento quelle di carne, del 32 per cento quelle di frutta e verdura, del 30 per cento il vino, del 26 per cento i lattiero-caseari). Al Centro la percentuale di chi ha dato un colpo di forbice ai consumi sale al 41 per cento (il 44 per cento ha ridotto il pane, il 51 per cento il pesce, il 48 per cento la carne bovina); mentre nelle regioni del Mezzogiorno si arriva al 51 per cento (il 42 per cento ha ridotto il pane, il 60 la carne bovina, il 39 frutta e verdura, il 35 per cento il vino, il 34 i lattiero-caseari). Dal report Cia risulta che, nelle regioni del Mezzogiorno, alla spesa alimentare e’ destinato piu’ di un quinto del budget totale.