Il bello dell’Abruzzo è la diversità. Biologica, geografica, mentale anche, perché solo in Abruzzo può succedere di cercare ciclicamente nuovi codici per far parlare la terra, e ogni volta che questo accade, la voce è incantevole. Così fra i colli e i calanchi di Loreto Aprutino, qualche sera fa si è svelata una prima linea di produttori di vino a filiera ultracorta, non solo uve e metodi sono made in Abruzzo, ma anche i lieviti sono autoctoni. Il risultato? Il territorio parla e inebria con la sua acidità e i suoi differenti profumi i vini di Marchesi De Cordano, la cantina dove l’enologo Vittorio Festa ha messo in bottiglia un’alchimia semplice, fatta di lieviti che parlano la stessa lingua della terra da cui proviene il prodotto a cui sono destinati, grazie al lavoro del Centro tecnico enologico. Primi passi su un terroir tutto regionale, finalmente.
Lunedì sera la spiegazione affidata ai ricercatori della Dalton Biotecnologie di Spoltore, che hanno consentito sa un gruppo di motivatissimi produttori di arrivare a questo traguardo, poi la degustazione con produttori e addetti ai lavori, affidati alla guida di Festa alla voce narrante di Alessandro Bocchetti, palato e penna felice del settore dentro e fuori l’Abruzzo.
“Lieviti naturali perché il risultato racconta il territorio – dice Vittorio Festa – Abbiamo voluto aprire un’altra frontiera: questa non è sperimentazione, è vino in bottiglia, annata 2015, abbiamo cominciato già. Si tratta di investire in innovazione, un passo che però restituisce in qualità ed economie di scala che dobbiamo cominciare a considerare per far fare al vino abruzzese il passo decisivo che da anni aspetta, diventare più conosciuto fuori dai nostri confini. Abbiamo la fortuna di coniugarlo ad un territorio che ha mille sfaccettature di sapore, è arrivato il momento di dargli spazio e puntare sul contenuto più che sul packaging, lo richiede il mercato, che vuole vini buoni a prezzi accessibili e apprezza scelte coraggiose quando ci sono”.
Pensare che l’80 per cento del nostro vino l’Italia lo bene già senza saperlo, la spiegazione tecnica, quella sospesa fra realismo e poesia affidata a Bocchetti : “La verità è che la storia dei lieviti appassiona molto il settore in questo momento – rivela – Ed è una storia che dà frutti anche se misurata in estensione, rispetto alla storia del vino che è millenaria e a quella della sperimentazione italiana che è lunga. Dai lieviti nascono sapori terreni, che dicono molto del vino e di chi lo fa. Succede che il vino offre un’identità liquida del paesaggio abruzzese, molti lo hanno capito perché rispondono ai mercati che lo chiedono. La tradizione serve ad andare avanti, il cemento e la fermentazione spontanea che erano stati lasciati al passato sono invece un’intuizione felice per trovare la strada del futuro”.
Oltre alla sapidità del territorio ai sentori che solo la nostra diversità può dare al vino, bianco come il pecorino degustato o rosso e forte come i moltepulciani seguiti che sia, dai lieviti arriva un’altro regalo, la salubrità: le piante hanno maggiori difese, senza la chimica non sono vulnerabili e consentono di rafforzare anche la voglia che l’Abruzzo ha di saltare avanti.