Il sorriso è di quelli che convincono, guarda negli occhi Pino Cuttaia, perché nella sua terra la fiducia si conquista così. Ed è una fiducia che ti restituisce in ogni suo piatto lo chef stellato che con la moglie a Licata ha “aperto” La Madia della cucina di tradizione, un vero e proprio contenitore, tirandone fuori i piatti del suo ricordo e giocandoci con mezzi moderni, per conservarne il sapore antico, anticamente sentito.
Ad aprire il primo Sentiero del Gusto della Reserve lo ha voluto Alessandro Bocchetti, enogastronomo che cura la rassegna, alchimista delle biodiversità “eno e gastronomiche” in grado di raccontare l’unicità italiana, un Sentiero che porterà nel ristorante dell’Hotel chef di lungo e giovane corso durante il suo cammino, per raccontare una cucina diversa, rivoluzionaria, buona e viva.
Dopo la cena di overture dei Sentieri che si dipanano dal resort di Caramanico, accompagnata dal calore dei vini Cataldi Madonna, un altro innovatore del ricordo, lo chef si intrattiene con i clienti, spiega, racconta, concede il suo punto di vista sulla cucina italiana e degli italiani. E’ tardi e l’indomani ha un’aereo quasi all’alba, ma non lui ha fretta, è lì che parla di come ha cominciato e di come continuerà. “La mia cucina spesso parte dall’imperfezione – dice – proprio come la cucina di casa, la cucina di mia madre, di mia nonna, quella a cui attingo sapori e idee e li interpreto con i miei strumenti. E’ una cucina accogliente, fatta di complicità fra gli ingredienti, stagionalità, freschezza, fatta di sapori che possono essere solo nella terra dov’è nata. Non è una cucina fighetta, che ti lascia con la nostalgia del cibo, ma si fa mangiare, perché è così che deve essere: io sto andando verso una cucina classica dell’imperfezione, perché la cucina fighetta di cui parlavo, beh, non mi piace”.
Una cucina che è una sorta di recupero della memoria, la tavola è un grande luogo su cui sfornare e mangiare ricordi, trascinandoci dentro chi non li ha vissuti, in un gioco di partecipazione che ti fa apprezzare l’imperfezione coltivata da Cuttaia: “Vi spiego – riprende – Ora faccio un piatto che ho chiamato memoria visiva, ecco perché: si tratta di tonno servito dentro un piatto caldo, perché è un tonno preparato a bagnomaria, come facevano le nostre nonne, che cuocevano pesce e fettine sulle pentole della pasta e te le servivano col piatto ancora bollente e pochissimo altro. Bene, dopo aver aggiunto il limone al mio tonno, lì, proprio al centro del piatto ci metto anche un noccio, uno solo, perché chi da piccolo ha mangiato quel piatto sa che nello spremere il succo il noccio sfuggiva. Il nostro è un lavoro di massa e affinazione insieme, ma credo che il gesto arcaico sia la base, è quello che scrive il percorso di un piatto”.
Infatti il menu appena proposto di gesti arcaici ne ha diversi. Parte con una Pizzaiola di merluzzo all’affumicatura di pigna, a guardarlo è una pizza dentro cui senti il mare e il bosco, la terra. Poi arriva la Bufala e pomodoro: sembra un mozzarellone, ma lì c’è la ricerca di cui Cuttaia parlava, una membrana di mozzarella avvolge la spuma di bufala e i pomodorini, ci vogliono più cucchiaiate per finirla, ma è impossibile lasciarla a metà. L’ultimo antipasto è stupefacente, si chiama Polpo sulla sabbia, accompagnato con lenticchie fritte da crude e una polvere che è quasi sabbia fra i denti, perché quel piatto deve avere il sapore di brace d’estate, ed è così.
“Per chi ha avuto la fortuna di nascere in famiglie dove la cucina è una specie di magia che va avanti di madre in figlio – spiega – ogni piatto diventa un testimone di cose buone e naturali. E’ la base di partenza questa, per qualsiasi tipo di percorso. Per questo io e mia moglie Loredana abbiamo scelto per il nostro ristorante un nome che evocasse i “tesori” gastronomici custoditi nelle madie di Licata, sulla costa siciliana dove dominano il barocco ragusano e i templi di Agrigento. Ed è per questo che quando viaggio in giro per l’Italia, attingo dal territorio, ma gli ingredienti base li porto dal mio, me li metto in valigia”.
Così è possibile scoprire un must della cucina siciliana come l‘Arancino di riso, ma quello di Cuttaia è con ragù di triglia e finocchietto selvatico. Cucina di mare, direte, infatti il Raviolo di calamaro che segue va in questa direzione, se però il calamaro non fosse solo l’involucro ripieno di “tinnarumma di cucuzza”, i germogli che si trovano spesso dentro la zucca gialla, verdi, saporiti, antiossidanti, segreto di terra in piatto di mare. L’unico secondo è a base di carne: Filetto lisciato all’olio di cenere, carne rossa, ebbene sì, ma cotta a bassissima temperatura, ammorbidita con olio e cenere, accarezzata al punto da sciogliersi in bocca con il sapore di fumo e olio fresco di spremitura, che ti portano dentro l’autunno con tutte le scarpe.
Un aiuto è dato dai vini Cataldi Madonna, a tavola c’è anche Luigi Cataldi Madonna, il vignaiolo professore così innamorato della sua terra da coltivarla. Lui spiega la particolarità delle sue etichette, nate nella Valle di Ofena, uno dei luoghi speciali d’Abruzzo che pure essendo quasi in motagna, con il calore del giorno e le escursioni termiche notturne regala una dolcezza unica alle uve della cantina, che si trova proprio al centro della valle (leggi il nostro articolo). Quella dolcezza è presente in tutti i vini, sia nel pecorino Giulia che nel rosato Cataldino e nel Malandrino, il Montepulciano di casa che segnano la serata.
Un altro passo tipicamente siculo è il dessert, assaporiamo una Cornucopia in cialda di cannolo, con ricotta e marmellata di arance (nostre) che riempie ma pulisce la bocca, consegnandoti lo chef che parla della sua cucina.
Che futuro vede Cuttaia nella cucina italiana? Quello che arriva dal passato e naturalmente: “Il cuoco cresce con i suoi piatti – conclude – E’ impensabile fare lo stesso piatto da quando hai vent’anni a quando ne hai quaranta: c’è tutto un patrimonio di esperienza che acquisisci, una scoperta continua di strumenti e tecnologie che utilizzi in cucina,
che ti formano continuamente. Ma credo che più la pratichi e più la materia che usi ti trasforma in artigiano. Parlo di materia vera, di ingredienti, ecco: solo dopo averla praticata tanto ne diventi padrone, te ne impossessi. Però, i fenomeni esistono, sono veri talenti che già a vent’anni sanno molto di più di quanto sapevo ad esempio io a quell’età, perché studiano, hanno con la cucina un impatto diverso, fatto sì di conoscenze, ma anche di curiosità e innovazione. Uno di questi fenomeni per me è Piergiorigio Parini, un giovane genio contadino che attraverso il suo territorio riesce ad esprimere una cucina che ti prende e poi ti restituisce la tradizione attraverso un processo di evoluzione pura”.