“Un polverone, più che una questione di latte in polvere“. Così commenta in un comunicato stampa che pubblichiamo integralmente, Nunzio Marcelli, Presidente dell’Arpo (Associazione regionale produttori ovicaprini d’Abruzzo) e storico produttore di formaggi – tutti da latte fresco e da animali al pascolo – le polemiche sulla procedura di infrazione che obbligherebbe l’Italia ad autorizzare il latte in polvere come materia prima per la produzione di formaggi.
Non che il problema non si ponga, spiega Marcelli, ma rischia di fare un… polverone, dietro al quale nascondere altre questioni. Quelle della materia prima e dei modelli di produzione: che sono le due questioni principali.
Ci vuole trasparenza
Quella di Marcelli non è l’unica voce fuori dal coro: anche altri hanno evidenziato che il nucleo della questione è informare i consumatori sulla materia prima e i metodi di lavorazione. Lo ha scritto e detto il professor Rubino, Presidente dell’ANFOSC (Associazione Formaggi sotto il cielo), che ha promosso l’iniziativa sul “latte Nobile”, cioè latte da animali al pascolo. “La qualità del latte, prima di tutto, deve essere comunicata e conosciuta con trasparenza”, spiega Marcelli; “perchè altro è il latte di animali nutriti in modo naturale, sui pascoli, dove c’è una ricchezza e biodiversità grazie alla continuità di attività tradizionali come il pascolamento; e altro è il latte da stalla, dove gli animali vengono alimentati con surrogati e insilati. E poi, la lavorazione: il formaggio da latte fresco va identificato chiaramente da altri prodotti, che utilizzano paste congelate o latte in polvere. Produrre latte con animali al pascolo e lavorarlo entro un tempo breve consente un controllo e una qualità tali da poter lavorare a latte crudo. Così non si uccide la ricchezza naturale della materia prima e non è necessario aggiungere fermenti, ormai tutti di produzione industriale. Per questo quando compriamo formaggi industriali, li troviamo tutto l’anno, ma hanno sempre lo stesso sapore. Il formaggio dal pascolo, invece, è un prodotto vivo: cambia come le stagioni, le erbe sui prati, cioè l’alimentazione naturale degli animali“.
L’origine della materia prima
Su queste battaglie si è creata la rete dei pastori europei che chiede il riconoscimento del valore umano, sociale, economico e alimentare dei loro prodotti e attività. “Chiediamo trasparenza, non privilegi” spiega Marcelli, che ha aderito al network europeo dei pastori e al documento di Koblenz dello scorso giugno; “che venga riconosciuto il valore ambientale del pascolamento, che tutela la biodiversità e rappresenta una difesa naturale dagli incendi; che ci sia in etichetta l’origine della materia prima e se proviene da stalla o da animali al pascolo, che contribuisce anche a ridurre le emissioni di CO2 perchè non obbliga al trasporto dei mangimi, e garantisce il benessere animale; che si scriva se un formaggio è a latte fresco, e se è lavorato a crudo“.
Sono sempre più i pastori d’Europa, dalla Polonia alla Bulgaria, dal Regno Unito alla Spagna, dalla Francia all’Italia fino alla Finlandia, dove allevano renne allo stato brado, a chiedere che la Comunità Europea rispetti i diritti di chi produce in modo sano ed etico e il diritto di informazione dei consumatori.
Il sasso è lanciato: chi risponderà all’appello?