Non era più stato all’Aquila da quando il terremoto l’ha cambiata. L’Aquila è stata la prima cosa che Oscar Farinetti ha voluto vedere dell’Abruzzo, durante la sua visita ufficiale prima del convegno conclusivo della giornata abruzzese, al porto turistico Marina di Pescara, “Benfatto e non contraffatto”, occasione per parlare del valore delle eccellenze italiane non solo enogastronomiche.
Alla fine della giornata il creatore di un nuovo modello di mercato enogastronomico, Eataly, ci è arrivato passando per il cuore fermo del capoluogo di regione, solcando il silenzio della zona rossa, accompagnato dal sottosegretario all’economia Giovanni Legnini, dall’amico Raffaele Cavallo, segretario regionale di Slow Food, dal sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, dall’ormai assessore regionale aquilano Giovanni Lolli e dagli organizzatori dell’evento, Roberto Di Vincenzo e Oscar Buonamano di Carsa. Un silenzio rotto solo dal sapore del torrone Nurzia, trovato strada facendo, regalando una sorpresa incredibile alle famose sorelle aquilane che mai avrebbero pensato di ritrovarsi un Oscar del genere al bancone del bar e nella propria iridatissima palma res. E dai sapori delle specialità tipiche gustate per strada, in un aperitivo in quel centro storico fermo all’aprile del 2009.
Poi il pranzo su uno dei trabocchi della costa chietina, quello di Punta Cavalluccio, per far assaggiare a cotanto ospite un’accoglienza fatta di sapore e di turismo che l’Abruzzo deve imparare a gestire. Infine la chiusura a Pescara, preceduta dai saluti istituzionali delle autorità locali che guardano a Farinetti come il “genio ex machina” da affascinare per coinvolgerlo in progetti che mettano insieme culture, colture, sapori sia dentro le sue ormai decine di Eataly sparse in tutto il mondo, sia fuori dai padiglioni enogastronomici, dentro progetti simili a cui farlo approdare.
E la sua disanima di cosa va e cosa non va e perché non va come dovrebbe andare nell’enogastronomia fila liscia come l’olio extravergine d’oliva abruzzese che lui ama tanto, sul palchetto allestito al padiglione ex Cofa del Marina di Pescara, sotto l’occhio mite ma vigile di Niko Romito, che per lui è “Il miglior cuoco d’Italia” e di tutto il mondo che produce e che cucina eccellenze arrivato a Pescara per ascoltare ciò che aveva da dire: 30 minuti densi di marketing disilluso e speranzoso nel futuro, capaci di motivare il più pessimista degli imprenditori.
“Sono felice di essere qui – ha esordito incalzato dal moderatore Marco Di Fonzo di Sky – avevo una serie di obiettivi da realizzare venendo, la prima cosa era andare a L’Aquila. Non ci ero mai stato dopo il terremoto e ho visto cose che mi hanno commosso tantissimo, perché se da un lato mi fa rabbia pensare che un paese che è l’ottava potenza del mondo non è riuscito a risolvere quel problema dopo cinque anni, dall’altro lato ho visto attività intensa, uomini del territorio sul pezzo, ho visto che ci siamo come energia e come tutto e mi è chiaro che nel 2017/2018 L’Aquila tornerà. Certo, fa rabbia che in un paese dove il fatturato è di 2.000 miliardi, che spende 110 miliardi in scommesse, non si trovino 4 miliardi per aggiustare L’Aquila, ma oggi ho capito che saranno trovati e che questa cosa si farà”.
Lo ha portato qui Raffaele Cavallo, con mite insistenza: “Cavallo mi fa una capa tanto sull’Abruzzo – lo spubblica Farinetti davanti ad una platea gremitissima che pende dalle sue labbra, anzi, dai suoi baffi – che dobbiamo migliorare la qualità dei prodotti abruzzesi dentro Eataly e oggi mi sono reso conto che deve avvenire. Così oggi ho deciso che da settembre partire da Roma ci sarà un corner dedicato a L’Aquila, Eataly per l’Aq, con almeno 50 prodotti di eccellenza, anche a rotazione, dall’agroalimentare all’enogastronomia affidato a Raffaele Cavallo, oche inviteremo a comprare perché sono buoni e perché destineremo il ricavato a L’Aquila per la ricostruzione. Accadrà negli altri 15 punti vendita d’Italia poi su New York, Chicago, San Paolo del Brasile, Istanbul, con fotografie dell’Aquila che non si piange addosso ma regala la meraviglia della città che potrà rinascere com’era prima, ma con l’aggiunta di un po’ di futuro, in modo che chiederemo ai nostri amici e colleghi nel mondo di imitarci. Diffonderemo un nuovo modello, come un contagio”.
Perché per Farinetti l’enogastronomia diventerà vincente solo se diventerà virale: “L’Abruzzo è una regione completa, c’è tutto. L’Italia ha un primato: siamo l’agroalimentare più richiesto, ma siamo tutt’altro che primi anche se siamo primi nella domanda. Basta lamentarsi perché ci imitano, la verità che noi non siamo capaci di vendere, non alziamo il sedere dalle sedie, mentre i francesi vanno. Se la Coop che è nata prima di Carrefour e Auchan avesse tanti ipermercati in Cina quanti ne ha la Francia, il vino italiano lo venderemmo in tetrapak a pile e faremmo noi i 750 milioni di euro con cui finanziano i contadini di Bordeaux. Finchè non avremo pensieri tali, togliamocelo dalla testa il boom dell’export. Di testardi ne abbiamo uno a caso, quello di Eataly, sono solo 400 milioni di investimento che però contro i bilioni degli altri, è poca cosa”.
Andare e cercare il mercato, ecco cosa manca ed ecco il perché della crescita di misura dell’export, pari al 5,8 per cento, perché il mondo chiede l’Italia. “Ma compra anche Parmesan perché lo fanno bene e lo vendono dove noi non lo vendiamo – riprende Farinetti – Abbiamo anche un problema di prezzo medio bassissimo, non siam capaci a narrare e risolvere i problemi. Siamo pigri e provinciali. Dobbiamo decidere di alzarci, in alcuni campi ci siamo riusciti, guardate la pasta, gente come come De Cecco e Cocco c’è andata a vendere il prodotto al mondo. Io vengo dalle Langhe che da sole fatturano di più di tutto l’Abruzzo. Lì siamo capaci di raccogliere l’8 per cento di tartufo d’Italia e farlo arrivare al 400 per cento, perché quando Giacomo Morra regalò al presidente Truman un tartufo andò su tutti i giornali del mondo. Le persone cambiano i destini dei prodotti e del territorio. Fatelo anche voi:prendete il migliore abruzzese che avete e fategli narrare l’Abruzzo”.
Carlin Petrini, il fondatore di Slow Food se lo sono ritrovato guardacaso proprio a Brà, ma: “Rispetto al Piemonte avete tante cose buone – incalza Farinetti – i vini più buoni, gli oli extravergini d’Italia, il mio olio è di Orsini, l’olio più venduto perché è venuto a raccontarcelo e a provare a venderlo. Avete lo zafferano più buono, due pecorini, salumi, carne buona, la chianina, frutta e verdura, un pesce fantastico, grandissimi prodotti, un futuro meraviglioso, quello che rimane da fare è alzare il sederono dalla sedia e andare nel mondo a venderli!”
Burocrazia permettendo, quella che inchioda il controllo che altrove viene fatto da due o tre istituti a una trafila di decine di passaggi in Italia: “Può darsi che la situazione incancrenita del nostro paese ci ha impedito fino ad oggi ma ora è arrivato il momento – dice l’amico di Matteo, quel Renzi a cui Oscar manda messaggini sulle cose da migliorare quando si trova davanti scoperte come l’intraprendenza del sindaco di Rimini che gli ha consigliato di investire della carica di ministro al Turismo – E dobbiamo essere contenti di essere imitati, lo fanno perché siamo fighi e perché siamo il paese più biodiverso al mondo, l’unica penisola al mondo chiusa dentro un mare buono. Le brezze dei mari hanno prodotto un microclima unico. Abbiamo una cucina replicabile che nasce domestica e questa è una fortuna straordinaria, perché si può trasmettere. Solo 72 generazioni fa, avevamo le chiavi del mondo, noi italiani abbiamo inventato tutto, dal de bello al de-sign. E’ arrivato il momento che la nostra generazione di italiani viventi faccia qualcosa. Anche la mia generazione, io compio 60 anni fra poco e sono di quella generazione che ha fatto debiti e disoccupazione, non mi sento di dare consigli, nessuno è innocente. Ma mi sento di fare. Invece alla crisi abbiamo reagito con le corporazioni, c’è più gente che amministra, giudica e consiglia chi lavora che gente che lavora. Bene dobbiamo rimetterci a lavorare”.
Al sottosegretario Legnini dice – “siediti con Padoan, andate da Matteo e provate a ridurre di una cifra dal 10 al 20 per cento le tasse delle imprese italiane che incrementano le proprie esportazioni, capito? Vedrete che il prossimo anno visto che avete l’occasione di avere anche il più grande cuoco d’italia, lui resta e non apre a Manhattan. Dobbiamo diventare un hub da cui le imprese italiane partono e vanno come schegge”.
Abbiamo 800 miliardi di spesa pubblica e lavorarci è dura, ma, ricorda ciò che gli diceva suo padre: si lavora sulle robe difficili, non peder tempo nell’impossibile. “Io considero difficile ma possibile raddoppiare le esportazioni, impossibile è però ridurre il numero di forestali in Sicilia, sono 25.000! Dunque: 800 miliardi di consumi interni e 400 miliardi di esportazioni. Insisto lì perché c’è la domanda che è spaventosa: su agroalimentare da 32 miliardi si può passare a 100 miliardi; moda e design possono crescere del 40 per cento (abbiamo 7000 negozi monomarca nel mondo!); industria manifatturiera di precisione, siamo i migliori al mondo a fare macchine di precisione per impacchettare; il patrimonio artistico deve scaricare a terra, tiriamo fuori le opere d’arte dai magazzini e mandiamole in giro per il mondo in mostre; abbiamo un movimento turistico di 47,5 milioni di turisti, ma è la metà della Francia, è meno di Manhattan che ne fa 52, ed è più piccola di Torino! Perché non riusciamo a crescere? La risposta è nei venti eppure noi abbiamo i migliori ingredienti per produrre i prodotti più buoni del mondo”.