Pescara prende il nome dal suo fiume. Ma il suo fiume non gode di buona salute. E’ lì da sempre, per decenni l’ha tagliata in due, dal 1927 è un elemento di unione, è il denominatore comune della città che ha imparato a crescere uniforme al di qua e al di là del suo corso.
L’occasione è percorrerlo in barca finché è possibile, perché nonostante i suoi 11 km navigabili il pescaggio è ridotto al minimo, un metro e mezzo, massimo due e detriti e tronchi chiudono passaggi e varchi. Poi c’è il problema degli scarichi che tutti censiscono e nessuno chiude.
Si sale sulla barchetta di Claudio Lattanzio che è primo pomeriggio. Una delegazione chiamata a guardare con i propri occhi quanto sia necessaria una rinaturalizzazione invocata e promessa da anni. “Sono un vongolaro – dice Lattanzio – Ho una barca che sta per riprendere il largo, venerdì torneremo a fare pesca turismo con la barca Nonno Remo: tutta la costa da Ascoli Piceno a Termoli ci chiamiamo PESCAra Turismo. Peschiamo le vongole, scendiamo qualche nassa per le seppie, a bordo una decina di persone per volta tutta la giornata che pescano, prendono il sole, guardano il paesaggio e mangiano al largo. Cucino io eh, tutto pesce preso e mangiato! E’ così che funziona”. Una risorsa, il turismo. Che sul fiume è solo un potenziale.
Eppure, saliti in barca l’alveo regala un paesaggio bello e selvaggio, che sa di acqua dolciastra, di vegetazione umida, sa di fango e di corteccia bagnata. Ma nei punti sotto accusa, dove quel che sembra un rivo è uno scarico, quell’odore diventa più pesante, invade la gola, corruga la fronte, distoglie il pensiero dalla dimensione dell’acqua dentro cui ti trovi.
“Io quando ho mille pensieri in testa prendo la barca e me ne vengo qui, dentro il fiume – riprende Lattanzio mentre è al timone della lancetta – Sono nato su questo fiume, mi ricordo com’era. Ricordo tutti i progetti perché quello che stiamo facendo oggi potesse diventare una risorsa per il turismo, per la storia della città, per l’ambiente. Sogni, fino ad oggi. A cui, però non vogliamo arrenderci: prima o poi arriverà qualcuno capace di guardare con gli occhi giusti questo patrimonio”. Occhi capaci di restituirlo al mondo non più violato.
Il primo scarico è all’altezza del cementificio. Ma sotto i ponti principali se ne vedono diversi, alcuni coperti, altri allineati, sono tubi, dal diametro di una trentina di centimetri. Sono lì da sempre.
Oltre il ponte di ferro ci sono le anatre e altre specie acquatiche. La barchetta fende le acque torbide di fango e foglie mentre sulle sponde si vedono i resti della recente esondazione: alcune barche sono rimaste impigliate alle rive. “Portar runa gru per toglierle è impossibile – spiega la nostra guida – rimuoverle costa troppo e finché non vengono usate lì rimangono”.
Sono tanti gli attracchi lungo le rive. Storici attracchi che si allineano e ci scorrono davanti, mentre i proprietari di motoscafi e imbarcazioni da diporto approfittano del sole per controllare che a bordo sia tutto a posto.
Siamo nella zona più impervia, quasi a un paio di chilometri dalla foce. Il panorama è pazzesco, bello nonostante il degrado. Affascinante per i suoi colori, per i suoi abitanti, per la sua flora e la sua fauna che convivono con scarichi, fanghi, detriti e rinaturalizzazioni mai arrivate.
È un patrimonio di inestimabile valore e un viaggio di grande impatto emotivo. La barca procede dolcemente sulle acque, mentre incrocia diportisti e canoe. Già lo sport, Pescara ha una gloriosa tradizione in merito. Su quelle rive, proprio dietro dil centro storico un tempo c’erano anche degli hangar voluti dal Vate per atterrare con il suo idrovolante.
Oggi solcare il suo silenzio a bordo di una barchetta è un’operazione straordinaria, uno scafo piccolo, perché il fango è pochi centimetri dal fondo piatto. Mentre il corso diventa impervio per via dei tronchi che ostruiscono la strada non si fa fatica a immaginarlo diverso, pulito, vivo, non più violato.
Quello sul fiume è un viaggio che vale la pena compiere per ritrovarsi in un contatto unico con la natura e con una parte irrinunciabile della città. Un viaggio che offre un punto di vista alternativo: vedere la vita dall’acqua è una dimensione nuova, che Pescara ha diritto di ritrovare per essere Pescara come il suo fiume vuole.
Il pomeriggio scorre indimenticabile mentre si torna in banchina. Venerdì Claudio riprende il largo con la Nonno Remo. “Adesso possiamo riuscire, speriamo duri perché non c’è solo il fiume da far risorgere – dice – c’è anche il porto ed è una storia ancora più complicata”.
La gente che vive sull’acqua non se ne allontana volentieri. Ci torna sempre, così lui nel fiume quando vuole perdersi nel suo silenzio e nelle emozioni che il viaggio regala, unite a qualche fitta di dolore per le condizioni in cui il fiume si trova.
(Nonno Remo su Talenti e Territori)