L’anima grande di Carlo Petrini arriva prima di quel sorriso marcato che porta ovunque nel mondo food e nei mondi paralleli, da quando la sua idea di cibo e di alimentazione con Slow Food è diventata un universo con roccaforti in 170 Paesi della terra. Entra nei territori in cerca di umanità da catalizzare perché la rivoluzione di cui si è fatto portatore diventi realtà ovunque nel mondo. Questa la sfida di cui ha parlato ai ragazzi che ha visto nelle scuole di Lanciano appena il suo venerdì abruzzese è cominciato. E sempre questo l’orizzonte verso cui ha fatto convogliare il pieno di storie, amore e impegno per l’agricoltura che lo ha investito nella bottaia più grande del centro sud, quella di Citra, dove ha incontrato un campione intensissimo dei 3.000 soci di una delle realtà più grandi d’Abruzzo nel mondo del vino. Giovani, ma anche no. Contadini, vignaioli, di ieri e di domani, che hanno ascoltato quella sua convinzione che cambiare il mondo si può puntando sulla biodiversità e facendo fare a chi può, qualcosa di utile per chi non ha cibo, né agricoltura per mangiare. Cose che ha raccontato tante volte nei suoi viaggi enogastronomici in lungo e in largo per l’Italia e fuori, e che ha messo nero sul bianco nel libro presentato a Ortona, al Teatro Tosti, poco dopo: Cibo e Libertà, perché nel mondo lontano dal nostro nascano orti e democrazia capaci di ridurre il peso della fame del pianeta.
L’abbraccio con l’amico e compagno di viaggio Slow, Raffaele Cavallo, da due mandati a capo per Abruzzo e Molise e poi l’accoglienza all’ultimo piano del palazzetto di vetro di Citra, con i vertici del consorzio e il buffet a cura di una chef che sulla sostenibilità investe ogni giorno idee e creatività, come Cinzia Mancini che ha preparato un menù a km zero, un condensato di Abruzzo, fra cucina povera e riuso, perfettamente Slow.
Ai tavoli lo spirito del Carlin esploratore viene fuori, si dipana, incanta chi lo ascolta, stringe mani e accordi sul territorio, strappa impegni alle forze di governo che l’Abruzzo esprime, come il sottosegretario all’Economia Giovanni Legnini che appena lo raggiunge lo rimprovera per non aver fatto diventare più famosa la ricetta delle Virtù e al quale lui spassionatamente chiede di dov’è e da che partito arriva per scrivere insieme qualcosa di utile per l’umanità. A fianco c’è Valentino Di Campli, presidente di Citra, alle prese con un motore che va a pieno ritmo e che oltre alla sfida del vino libero e del Montepulciano a basso contenuto di solfiti, ha lanciato anche un codice per tutti i soci, il Codice Citra che coniugando vini, volti e territori, propone un modo diverso di produrre. La prima pagina porta la firma di Carlo Petrini e l’emozione di 6 improvvisati padri fondatori, firmatari anch’essi di un libro tutto da scrivere.
Sono con lui sul palco, dentro il ventre della bottaia carica di mosto, storia e fermenti. Il libro aleggia nella presentazione, ma è un modo per fargli raccontare a cosa è stato “utile” il 1986, l’anno che ha sconvolto il mondo del vino con lo scandalo del metanolo, con le morti e la tossicità di una scelta: “Fatta solo per questioni economiche – dice subito Petrini – una vergogna che il Piemonte, la mia terra, a causa di mestaioli infami ha dovuto subire. Ma è stato forse da lì, dai morti ufficiali e da quelli di cui nessuno ha parlato che è partito un nuovo rinascimento del vino delle Langhe”.
Il vino e i territori, un’accoppiata che il presidente Valentino Di Campli presenta a Petrini: “Siamo in tanti – gli dice – tutti con pochi ettari di terra perché è la qualità che ci interessa, seimila braccia che ogni giorno attraverso la cooperazione mettono insieme cultura e tradizione per andare avanti. Ci sono i nostri giovani, quelli che hanno scelto di restare sulla terra, di fare i contadini come padri e nonni, perché l’hanno vissuta e la considerano un valore per domani. Ci sono i nostri “vecchi”, quelli che hanno cominciato la rivoluzione dal basso e che oggi sono esempio quotidiano di impegno per le nuove generazioni”.
Così Petrini conosce la giovane Lucilla, imprenditrice dirompente, a capo di una piccola ma operosa impresa agricola familiare che vuole veder crescere a colpi di qualità e innovazione. Poi c’è Nicola Di Paolo, contadino di Crecchio classe 1925 che racconta di suo padre che dall’America: “Portò a casa sul bastimento la barbatella per vincere la fillossera, perché rimanesse viva ogni tanto bagnava la borse dentro cui l’aveva messa. Fu il primo in Abruzzo a prevenire questa malattia alle piante, non fecero in tempo ad essere colpite”. Contadino da sempre, lavoratore sempre, insieme a moglie figli e fratelli: “Eravamo in 9 a casa, una piccola cooperativa”, fiducioso nella cooperazione come l’imprenditore che ha accanto. Contadini convinti, tanto da testimoniarlo fra le lacrime, come il giovane ingegnere di Eredi Legonziano Carmine Di Camillo: “Ho scelto di fare il contadino perché l’agricoltura mi rende libero, l’ho imparato da mio nonno che ha 85 anni e con il quale lavoro ogni giorno”, riesce a dire finché la voce si rompe. Determinati a rimanere contadini, come Nicola Caravaggio, giovane anche lui, enologo, preso dal suo ruolo di valorizzare il territorio nella cantina San Giacomo, della famiglia Citra.
“Siete portatori di una enorme umanità – risponde Petrini – restate contadini così, perché l’agricoltura è tornata ad essere importante e quello del contadino sarà un mestiere del domani”. Parla della biodiversità e dell’importanza che un territorio parli attraverso essa. Racconta di ciò che lo affascina dell’Abruzzo: “Umanità deriva da humus – dice – e voi qui ne siete pieni in un mondo dove il cibo e la fertilità si sprecano”. Al consorzio di cantine sociali strappa un impegno: un orto africano, di quelli che insieme a Terra Madre sta costruendo lì, perché attraverso il cibo agisca la democrazia della sopravvivenza, quella che dà vita a tutti e non fa morire bambini per mancanza di nutrimento.
L’incontro in bottaia si chiude con questo impegno e le firme sul simbolico Codice Citra che a fatica si lascia spacchettare dalla confezione per la grande occasione.
Al Carlin viene donata anche un’opera di Antonio Matarazzo e un Magnum strassato made in Citra che vorrebbe aprire subito per assaggiarlo, ma che è troppo caldo per lo scopo. Poi la sua giornata prosegue verso il teatro di Ortona che lo aspetta. Dopo l’umanità Carliniana condivisa nel pomeriggio, sarà la sua filosofia per cambiare il mondo a chiudere la serata.
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