Sul mare ci sono i trabocchi dove ci si prepara ad una nuova stagione di turismo ed enogastronomia, ma verso l’interno, prendendo percorsi sterrati e coronati da alberi d’alloro si entra dentro un mondo arrivato lì insieme a quelle fantastiche strutture da pesca, quello di agrumi unici, perché crescono rigogliosi senza bisogno di essere trattati. A un passo dal mare, protetti da sabbia e vento grazie a barriere vegetali fatte di canne e allori, abbracciati dagli olmi, a ridossi di una collina dove crescono da più di 300 anni, da quando delle colonie di profughi francesi e tedeschi li hanno portati con sé e piantati lì.
Arance, limoni, cedri, mandaranci, pompelmi, una vera e propria industria su cui pochi puntano, perché considerata una nicchia. Molti proprietari li hanno abbandonati, perché non raggiungendo più le cifre di un tempo, farli fruttare è un’impresa, ma domenica 16 marzo, un mercatino organizzato dall’associazione “Agrumi della costa dei Trabocchi” renderà visibile la loro esistenza a Vallevò, una delle punte più suggestive di Rocca San Giovanni.
“Crescono nel silenzio, fra gli ulivi e le erbe selvatiche – spiega Rinaldo Verì, presidente dell’associazione mentre ci conduce dentro uno dei frutteti di Rocca San Giovanni – affondando le proprie radici nella terra umida ricca di sorgenti che rendono il loro rigoglio imponente e odoroso. Si tratta di “purtegalle“, la varietà più comune, ma ci sono anche cedri e pompelmi, limoni, varietà con e senza semi, con tanta buccia. Piante che non hanno bisogno di prodotti per fruttare, vengono sù da sole, temono solo le gelate e una malattia dallo strano nome: la tristezza degli agrumi, ma fino ad oggi non li ha mai colpiti”. Le gelate sì, però. Una storica, forse proprio quella del ’56, oltre a ghiacciare le piante della costa congelò i prodotti che viaggiavano in treno verso la Francia, tutto il raccolto! Fu un colpo da cui i produttori non si ripresero se non dopo un paio di stagioni, molti lasciarono, altri provarono con altre piante.
“Dopo la guerra c’era un grandissimo movimento – racconta Rinaldo che è anche titolare di uno dei trabocchi storici di Vallevò, Punta del Tufano, roccaforte didattica, enogastronomica e identitaria grazie alla sua loquacità – Metà della produzione finiva sui treni, che caricavano cassoni enormi di agrumi e li portavano in Germania, in Francia, Venezia. Quando attraverso la ferrovia si svilupparono i traffici con Sicilia e Calabria tutto cominciò ad affievolirsi e i nostri agrumi diventarono una nicchia, conosciuti da qui in giù, verso sud, impiegati per fare marmellate, canditi, dolci, venduti al resto d’Abruzzo con i banchi lungo la strada oppure nei mercatini, come quello del 16 marzo. Pensare che un tempo agli agrumi erano accostati anche artigianato tipico Si tratta di una tradizione che risale ai primi anni cinquanta quando arrivò la Statale 16 Adriatica, che a quei tempi era attraversata da uno scarso traffico veicolare. Quello di vendere gli agrumi locali era un sistema avviato dai contadini che abitavano lungo la strada, ma l’usanza si sviluppò rapidamente, tant’è che dopo alcuni anni le bancarelle, che si incontravano per strada da Fossacesia ai Ripari di Giobbe, a Ortona, erano tante e ci trovavi le arance, ma anche : ceste di vimini, cornici e oggetti di conchiglie, un fiorire di gadget in un’epoca in cui il marketing del territorio nemmeno esisteva! L’Associazione, invece, è nata dall’esigenza di tornare a far parlare anche la terra della costa dei Trabocchi, non solo il mare e questo prodotto unico che nasce solo qui, per via delle condizioni che si trovano in questo spicchio di Abruzzo”.
I limoni fruttano a novembre, mandaranci a dicembre, arance e pompelmi fino ad aprile. Ora è il momento ottimale per la raccolta.
Nel 2004 si pensò anche al marchio che accompagna gli agrumi, ma non un marchio ad hoc. Sono nell’atlante dei prodotti tipici, ma rappresenta una microeconomia stretta fra biologico e tipicità che fatica a tornare ad esplodere, perché puntarci è costoso. Così succede che in mezzo all’agrumeto che visitiamo si trovino piante lasciate a sé stesse, ma cariche di frutti o che li lasciano cadere a terra perché nessuno li coglie. “Sono quelle con le foglie e i frutti
più chiari – spiega Verì mentre mostra un “cetrangolo“, varietà da innesto che non è gradevole da mangiare, viene usata per insaporire il gusto delle salsicce di fegato e per dare rigoglio alle nuove piante, in più ha delle spine – Queste piante parlano del presente che i nostri agrumi stanno vivendo. Sono tanti gli agrumeti in queste condizioni, che sono anche un problema per produttori vicinanti che però vogliono continuare a produrre. E’ un problema che non si risolve, perché il mercato non li risolleva. Che peccato eh?”
Peccato sì, per una regione che dice di voler contare sulle sue eccellenze. Solo i più coraggiosi e quelli che hanno maggiori opportunità riescono ad avere la meglio. “Anni fa ci mettemmo insieme fra produttori – conclude Verì – pensammo di iniziare un percorso per il marchio, per restituire anche la storia a questo comparto agricolo così speciale. Un comparto conosciuto da chi vive qui e scoperto da chi arriva qui per via dei trabocchi. Che chiede di contare di più e di avere un’opportunità nuova, non solo per il prossimo mercatino, ma per un futuro che merita”.
Bell’articolo Monica per (ri) scoprire gli agrumeti ad un passo da Pescara.Nella zona dei trabocchi c’é anche Cantine Mucci: una azienda agricola con vigneti di proprietà e dunque i vini sono di reale filiera corta!