Chiuso per ferie. Serrande abbassate sullo storico locale del Bar Camplone di Piazza Salotto, uno dei due faraglioni della movida del centro di Pescara, porta aperta verso il mare e la riviera, alle prese con la crisi. La notizia diventa tale davanti alle vetrine chiuse del locale, che reca un biglietto su cui c’è scritto chiuso per ferie. Poi arriva la nota della Confcommercio di Pescara, che teme che quelle ferie siano prolungate e spera in un lieto fine per per la storicità del locale, luogo di incontro per tantissime generazioni prima e dopo i tempi d’oro della vitalità commerciale, culturale, dell’intrattenimento cittadino. Vetrine coperte e tutti in ferie, fino a data da destinarsi. La decisione dei titolari pare sia stata comunicata ai circa venti dipendenti la sera di lunedì e ha attivato i sindacati per scongiurare l’ipotesi di licenziamenti e mobilità.
Un sussulto di storia e memoria per i pescaresi, perché quel posto è uno dei luoghi indennitari dell’intrattenimento cittadino di lungo corso, legato al ramo della famiglia facente capo oggi a Rinaldo Camplone, figlio di Giuseppe. L’affaccio su Piazza Primo Maggio, l’ultima tappa prima della passeggiata sulla riviera, il luogo di appuntamento per via della notorietà dell’insegna. E poi gli aperitivi, i gelati, negli ultimi anni il lounge bar e l’intrattenimento musicale. La Confcommercio teme che dietro la chiusura “per ferie” dello storico Bar Camplone aleggi il rischio di una cessazione definitiva dell’attività. “E’ una notizia che mi colpisce profondamente sia come pescarese che come profondo conoscitore delle vicende del Bar Camplone in quanto titolare di “Cacique” prima della fusione delle due attività – dice il Presidente della Confcommercio Pescara, Ezio Ardizzi – Sarebbe l’ennesima attività storica di Pescara che scompare, che spegne le sue insegne, condannata a morte dall’incapacità e insensibilità degli amministratori cittadini e regionali che hanno mortificato con scelte scellerate la vocazione commerciale della nostra città. E’ gravissimo quando un’attività commerciale, la cui fama trovava risalto a livello nazionale e internazionale, si trova costretta a valutare l’ipotesi della chiusura quando fino a pochi anni fa brulicava di persone che facevano la fila per un aperitivo o per un cono gelato”.
I gelati e l’eterna rivalità dirimpettaia con l’altro storico locale della zona, Berardo. Tanto che i pescaresi doc un tempo si distinguevano anche in base a chi preferiva il cono dell’uno anziché quello dell’altro. “Ricordo e racconto spesso un aneddoto che mi capitò alcuni anni fa a Roma – riprende Ardizzi – allorquando un signore, che ignorava che io fossi il proprietario del Bar Cacique, mi disse che fra le dieci cose che desiderava più fare, oltre a viaggi e acquisti vari, c’era proprio un aperitivo a Pescara al Bar Cacique. Questo rende l’idea di quanto erano note quelle attività commerciali e soprattutto di quanto il nome di Pescara avesse travalicato i confini regionali grazie alla sua vocazione commerciale e alla sua capacità di attrarre gente. A mia memoria il Bar Camplone occupava nel periodo invernale da 18 a 20 persone (famiglie) e nel periodo estivo da 40 a 45 persone (ovvero famiglie) oltre ai titolari; chi li aiuterà adesso a trovare un posto di lavoro?”
Poco è rimasto del mitico fulgore economico della Pescara anni ‘70 e ‘80: gli anni del boom, del commercio, della crescita urbanistica spregiudicata, ma anche quelli della vitalità culturale, iniziati un decennio prima e arenatisi nella noia della piazza vuota. “Poco o nulla ne è rimasto – dice ancora Ardizzi – a causa di scelte politiche che hanno perseguito con una caparbietà pari solo all’ottusità lo scellerato disegno di una città senza più identità, di una città inaccessibile, di una città dormitorio al servizio solo di qualche residente ma incapace di invogliare qualcuno a visitarla – e poi l’affondo finale, immancabile, su Corso Vittorio – Il progetto su Corso Vittorio è l’ennesimo passo di questa assurda strategia di dissuadere chicchessia dal venire a Pescara, l’ennesimo passo verso altre chiusure di attività commerciali, verso altre insegne che si spengono, verso altre perdite di posti di lavoro, verso una Pescara più povera e triste”.