A Fara Filiorum Petri lavorano tutto l’anno per levare al cielo le scintille della notte di Sant’Antonio. Guardandole prendere forma, odore, colore in mezzo a migliaia di persone e dopo un cammino che unisce fede, fatica e folclore si capisce di essere parte di un rito unico, perché uguale a se stesso, rimasto importante, come la prima volta che fu celebrato. E’ giovedì 16 gennaio, il giorno dei giorni, atteso scegliendo le canne, procurandosi i legacci di salice, preparando le tende dove costruire le farchie, allestendo le contrade ai pomeriggi e serate che servono a costruirle. Tutta l’energia dell’attesa riempie l’aria a Fara Filiorum Petri, dove arrivano migliaia di persone ogni volta. Nella piazzetta del Comune dove si alza l’ultima farchia per raggiungere le altre nel piazzale del cimitero nel primo pomeriggio arriva la banda, poi si snodano le litanie lauretane che culminano con il grido al Sant’Antonio, che è l’ultimo segnale, quello prima della partenza.
La fatica comincia e ha il volto di decine di uomini, quelli che, giovani e vecchi, diventano le gambe della torcia che pesa pesa tonnellate. C’è chi si ripara con i cuscini, chi si passa pezzi di gomma, il passo è lesto, perché il sacrificio duri quanto serve, scandito, al passaggio, dall’accensione di micette e petardi. E’ il sollievo di ogni meta.
La farchia si segue praticamente correndo e stando nel fiume che scorre dietro chi la porta si vedono le mani che aiutano quegli uomini spingendoli, le voci di mogli, fidanzate e madri che esortano “Coraggio, dajè”, il grido che segna lo scambio di spalla, perché la fatica sia lieve, il più possibile.
Le farchie più lontane arrivano a bordo dei trattori, praticamente cavalcate da aspiranti farchiani, musicisti in erba, contradaroli e le braccia che le hanno costruite. Cedono il passo a quelle che arrivano a spalla e al passaggio salutano ed esortano perché si ritroveranno nel piazzale dove alcune aspettano già. Ad ogni arrivo un applauso e grida perché la meta sia davvero segnata, un trambusto pittoresco, popolare, caldo, che centinaia di obiettivi raccontano scattando ad ogni espressione di volti, ad ogni estremo gesto durante il percorso. Da raccontare c’è tanto. C’è l’espressione di una comunità che si apre per raccontare la sua fede in un Santo che un tempo, era il 1699, col fuoco li salvò dal francese invasore. E quel fuoco è diventato il legame fra la gente e San’Antonio e il simbolo di amore, fede, unità, passione e speranza nel futuro.
Una volta arrivate il lavoro più grosso comincia: piantare la farchia. Pochi movimenti, pesantissimi, definiti da regole scritte perché nessuno si faccia male come avvenne in passato, almeno 25 anni fa. Si fissa il punto, ci si mette sotto e si spinge, si imbraca la farchia e si tira, ci si mette davanti e si evita che si rovesci dall’altro lato. In pochi minuti è fatta e dopo si balla aspettando il tramonto. L’arena è transennata, serve per difendere il pubblico dal fuoco che acclama. Intorno prende vita l’accoglienza enogastronomica della festa, che si snoda fra i banchi in cui si dispensano dolci tipici, fra cui il serpentone di San’Antonio, celebrity fra i sapori, offuscato appena da crespelle dolci e vin locale brulè. Nell’aria l’odore acre degli intingoli e del vino si mischia a quello secco delle canne, ma quando le micce esploderanno sarà l’odore del fuoco ad avere la meglio su tutto.
Sul palco allestito perché la maggior parte del pubblico veda: si spiega, si racconta, si analizza, vecchi farchiani chiamano compaesani chiusi nell’altra parte della piazza, sotto le farchie, scambiandosi espressioni consapevoli della fatica e dello sforzo, comparandoli a sforzi passati e vissuti, che appartengono al proprio rapporto con le farchie e al patrimonio collettivo del paese. Perché il rito è personale e plurale insieme. La cosa bella, oltre le emozioni che regala a chi guarda, è il fatto che sia aperto. La comunità offre accoglienza, ripagata da offerte dei visitatori: è sempre stato così, lo sarà , forse, per sempre, perché i faresi così vogliono.
Quando arriva il tramonto le farchie sono tutte in piedi, ci sono quelle di tutte le contrade più due piccoline: una della scuola dell’infanzia, l’altra della scuola primaria, il contributo delle nuove generazioni, segno che il rito continuerà per mano loro. Uno speaker allerta la folla sotto le torce: si comincia, e proprio dalle più piccole, perché l’attesa cresca ancora di più. Fra scoppi e l’odore acre dei petardi di cui le farchie sono circondate per bruciare, lo spettacolo ha inizio. Ma è uno spettacolo dello spirito: che attraverso la fatica del lavoro svolto, la forza purificatrice e santificante del fuoco sale al cielo come tributo popolare ad un Santo amato. Uno spettacolo che regala emozioni a tutti, tutte diverse, singolari, perché ciò che si ha davanti non è cosa che capita tutti i giorni. E’ cosa che capita in Abruzzo e che rende la nostra terra uno dei luoghi dove le tradizioni sono capaci di invaderti l’animo e lasciarci traccia.
Quando le farchie sono tutte accese arriva il Santo a benedirle, poi bruceranno ancora un po’ e torneranno nelle contrade perché la festa fatta di cibo, canti e musica cominci. Sant’Antonio è portato a spalla e si ferma davanti ai fuochi. Dal palco piccolo antistante il piazzale il vescovo della Diocesi Chieti-Vasto Monsignor Bruno Forte le benedice: “Il fuoco è amicizia, amore, fede, è futuro – dice – l’auspicio è che la vita sia migliore per tutti. Questo spettacolo mi ha stupito, come mi ha stupito l’accoglienza di questa comunità. Vorrei che l’unione, la compattezza che ho davanti agli occhi stasera, sia da monito a tutti per sempre. Dobbiamo cercare di affrontare la vita uniti, così ci salveremo”. Il Pastore canta, preso da un entusiasmo contagioso, che sa di fede e di umano stupore. Il sacro ha un sapore unico quando il popolo lo sente e lo esprime. Per conoscerne parte bisogna addentrarsi nella provincia chietina il giorno di Sant’Antonio e mettersi davanti alle farchie che bruciano allungandoci il volto. Quel fuoco lascerà traccia col suo calore.
(Foto Franco Di Peco)
Non è del tutto finita, nel pomeriggio il programma prosegue così: