Gennaio è il mese dedicato al culto di Sant’Antonio Abate, uno dei Santi ai quali l’Abruzzo è più devoto, che viene pregato e festeggiato in tanti modi, anche enogastronomicamente, da secoli. Un’occasione per socializzare, far rivivere tradizioni ataviche e calde, per ridare colore al costume abruzzese e voce e movimento ad uno degli eventi che riescono perfettamente a coniugare sacro e profano, la storia di un uomo che sfidò il male con la sua fede e l’amore della gente che dalla sua forza si è sentita protetta, salvata.
La festa più intensa e storica è quella delle “farchie”, prende vita ogni 16 gennaio a Fara Filiorum Petri, uno dei borghi storici della provincia di Chieti, dove alte torce realizzate con le canne prendono fuoco in onore del Santo. Ma è un mondo, quello delle farchie, che si illumina giorni prima con i preparativi, con gli eventi che si articolano nelle contrade, dentro i capannoni dove mani antiche e moderne le mettono insieme. Un racconto fotografico ed etnografico è contenuto in un libro edito in dicembre da Menabò, a firma di Antonio Corrado, Serena Di Fulvio e Sandro D’Orazio e a cura di a cura di Maria Concetta Nicolai, Adriana Gandolfi e Giuliano Di Menna.
Si chiama Dalla Terra al Fuoco “Viaggio tra sacro e profano a Fara filiorum Petri Paese delle farchie e del miracolo di Sant’Antonio Abate“. Un viaggio fra storia, rito e tradizione, che racconta il territorio attraverso le immagini e la voce popolare di un rito che continua carico di emozione, energia e colori ancora oggi. Un viaggio che si è trasformato anche in un vero e proprio tour fotografico lanciato da Serena Di Fulvio sulla pagina Facebook di Paesaggi d’Abruzzo fra le contrade all’opera per la costruzione delle Farchie di S. Antonio Abate. Ma ogni sera, già da dopo l’Epifania, nei capannoni in cui le farchie prendono vita c’è movimento, si canta, si balla, si mangia in attesa della festa che prenderà vita giovedì.
“Il lavoro di preparazione è lungo, laborioso e intenso – ci spiega la professoressa Gemma De Ritis, voce che mette insieme storia e organizzazione dell’evento, nonché membro della contrada del centro di Fara – Nelle contrade il movimento non manca, in questi giorni è possibile osservare che succede anche di giorno, la mattina e rimanere sia a pranzo che a cena, perché in tanti si organizzano così. In centro, ad esempio, si cucina anche per il pranzo e ovunque si accompagna la realizzazione delle farchie con folclore e piccoli eventi”. I piatti tipici del posto sono tanti: sagne e fagioli, sagne e lenticchie, polenta e sopratutto maiale, che enogastronomicamente si macella in questo periodo e storicamente si accosta ai riti che celebrano il Santo. In loco, poi, un dolce irrinunciabile è il serpentone di Fara Filiorum Petri (‘lu serpentone’), preparato anticamente in coincidenza della macellazione del maiale proprio perché per la farcitura di questo dolce veniva impiegato il sanguinaccio.
“Il tutto culmina con l’elevazione e la bruciatura delle farchie, il 16 gennaio – ripente la professoressa De Ritis – Ma non finisce con questo il rito: le farchie vengono portate in piazza dal pomeriggio del 16, issate e bruciate prima della benedizione che quest’anno sarà impartita dal Vescovo di Chieti-Vadto Monsignor Bruno Forte, finita la celebrazione, ciò che resta della farcia torna in contrada e riapre i festeggiamenti a base di canti, balli e piatti tipici. Il giorno dopo, il 17, la festa si chiude con un canto dedicato a Sant’Antonio che noi non celebriamo con alcuna rappresentazione teatrale, lo eseguirà il coro di San Giovanni Teatino e la festa sarà conclusa”.
Viaggio di fede e folclore che, come avrete capito, vi consigliamo e di cui grazie agli autori del libro Dalla Terra al Fuoco, vi proponiamo un’anticipazione davvero emozionante nel video realizzato per raccontare il libro e questa tradizione che coinvolge la gente di Fara Filiorum Petri. Un’anteprima di grande qualità la potrete trovare anche nel numero della rivista D’Abruzzo in edicola. (per vedere il video cliccare penna foto o nel link sotto)
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La festa delle Farchie ha in sé “i prodromii dei riti carnevaleschi mentre si lasciano quelli natalizi – scrive la troica di tradizioni popolari Adriana Gandolfi sul rito – il carattere di transizione è evidente nella mescolanza di usanze tardo natalizie, come quella inerenti i cibi (crespelle, cauciune, serpentone) mentre il brio e l’allegria di gruppo sembra preludere al Carnevale; ” il carattere calendariale della festa che coincide con il periodo invernale: il fuoco purificatore, allontanatore del male, prepara l’ascesa dell’astro solare necessaria per nuovi e abbondanti raccolti ( … ) Tra gli aspetti rituali più interessanti di questa festa si distinguono le tradizioni melodiche teatrali come i canti e le sacre rappresentazioni; queste ultime, che derivano probabilmente dalle commedie dei santi di origine spagnola del tardo Rinascimento, raccontano in forma melodrammatica le vicende di Sant’Antonio nel deserto”.
Le farchie sono delle vere e proprie torce, impressionanti per l’altezza, realizzate con canne legate con rami di salice rosso. Hanno un diametro preciso: 70-100 cm e una lunghezza di 7, anche 9 metri. Si preparano nelle contrade: Colli, Madonna, Mandrone, Forma, Vicenne, Fara Centro, Crepacci, Campo Lungo, Colle Anzolino, Via S.Antonio o Colle San Donato, Sant’Eufemia, Giardino e Cagnotto, per essere portate in processione il pomeriggio del 16 gennaio davanti alla chiesa di Sant’Antonio Abate dove vengono issate e incendiate con una singolare “cerimonia”.
[box_light] Dal sito del Comune di Fara Filiorum Petri attingiamo la leggenda che racconta il rito:
E’ tradizione che la festa delle farchie sia stata originata da un miracolo per intercessione di S.Antonio al tempo dell’invasione francese del 1799. All’epoca Fara era protetta da un grande querceto che si estendeva fino a coprire interamente la c.da Colli. Venendo da Bucchianico verso Guardiagrele i Francesi volevano occupare Fara ma l’apparizione di S.Antonio nelle vesti di un generale li fermò. Il santo intimò alle truppe di non oltrepassare la selva ed al loro diniego trasformò gli alberi in immense fiamme che scompigliarono i soldati.
Il 16 gennaio dalle contrade partono trattori decorati con sopra le farchie. E norma che i cortei prima di iniziare il viaggio recitino le litanie lauretane. Un suonatore di “trevucette” si mette a cavallo della farchia mentre un tamburino si mette a capo del corteo. I contradaioli scaricano la farchia poggiandola sul suolo e quindi, al comando di un uomo chiamato “capofarchia” la innalzano in piedi. Quando tutte le farchie sono alzate si dà inizio all’incendio. Alcuni mortaretti incendiano la sommità come una grande torcia.
A detta dei partecipanti la perfezione tecnica della farchia viene alla luce solo dopo che è innalzata: la verticalità, il giusto allinearnento dei nodi, la corretta sistemazione delle canne per evitare rigonfiamenti o torsioni, sono i requisiti principali di giusta maestria, messi in relazione con le dimensioni metriche.[/box_light]
Si tratta di una festa popolare, nel vero e proprio senso della parola, perché ad organizzarla è un comitato spontaneo con membri in ognuna delle contrade che raccoglie anche fondi perché la festa possa avere fuochi d’artificio e musica ed eventi a scandirla oltre al rito.
Un rito che ogni anno “infiamma” di fede e tradizione una comunità unita nel nome delle Farchie di Sant’antonio Abate.
(per le foto si ringrazia Serena Di Fulvio per la gentile concessione)
Il programma