Ci sono dei calendari invitanti per le belle foto, perché ci sono ricette e immagini di cibo che specie in cucina arredano, oppure che hanno finalità solidali che vale la pena tener ben presenti attaccandole alle pareti della stanza dove si trascorrono le ore più determinanti della giornata, come la cucina, un viavai continui di: colazione, pranzo, merenda, cena e spuntini e faccende varie. Oppure in salotto, dove si sta e si riceve e dove serve capire come passa il tempo, da che impegni è scandito. Un calendario che ci piace tantissimo è quello che attraverso foto, poesie e ricette in dialetto fa riemergere La Vita del Borgo. Borgomarino, il quartiere dei pescatori, una delle anime della città di Pescara.
Dietro il calendario, che non è in vendita ma è distribuito dalle pescherie Delfino ai clienti, c’è il respiro di un’Associazione Culturale che prende nome dal Borgo e che porta avanti un’azione di promozione e tutela delle sue memorie proprio grazie al sostegno privato. Il professor Giacomo Fanesi insegna materie nautiche, ma dei pescatori è figlio, della cultura del Borgo, invece, è voce instancabile e attraverso i calendari che si sono succeduti in questi anni è stato capace di restituire alla città immagini di un fiume e un porto completamente diversi da quelli di oggi.
Nei 12 mesi del 2014 ci sono i pescatori, vecchi e giovani, le loro famiglie, ci sono gli amici dei pescatori e quelli che sono nati da famiglie di pescatori e hanno comunque il mare nel sangue. C’è una vita fiaccata oggi da tanti problemi e che all’epoca aveva sì fatica, ma anche speranze da costruire. La nuova edizione è molto suggestiva per questo, perché è solare. Le foto sono tutte in bianco e nero risalenti agli anni ’60, ’70, accompagnate da ricette e versi su storie e personaggi “cantati” da Enrico Camplone, Adolfo Ciaccio e Peppino Cianfagna “pescatori e poeti”. Si tratta di un bel salto dentro la città nella città, quella dove spesso nessuno guarda più, ma senza la quale Pescara non sarebbe Pescara.
Scorrendo i mesi riaffiorano vecchi gruppi della banchina, coi soprannomi, le tenute da lavoro e le facce segnate dal mare che sorridono all’obiettivo del fotografo di turno. Le barche da ormeggiare, l’arte di rammendare le reti, il relax sul molo, fra chiacchiere e sigarette. Ci sono anche le sirene, come Maria che lava i panni nell’acqua alla spiaggia che sembra quella della Madonnina. Ci sono anche i bambini dei campus di una volta, con le facce abbronzate e i costumi alti del secolo scorso.
Ci sono i trabocchi e il ricordo dei traboccanti, come Carletto, impresso mentre si arrampica scalzo su uno di quei ragni ancora vivi e vegeti un paio di epoche fa, cantati dalla nostalgia di Peppino Gianfagna che racconta in versi la scomparsa del mare, i cambiamenti del porto, il malessere che avvolge lo scalo da anni.
Ci sono comitive ridenti che un tempo avevano la vita davanti , momenti di lavoro, eventi lieti per la comunità dei pescatori, come il matrimonio di Pasqualina Vianale. C’è l’immagine di una città diversa, quella delle scafette e di moli che erano luogo di incontro, confronto e anche scontro, epicentro di una vita che rappresenta un’identità pescarese, fra le più care e cariche di memorie che a volte la città stenta ad ascoltare.
Una comunità che svela anche alcuni dei suoi segreti culinari nelle ricette trascritte: mazzangolle e radicchie; sagnette, cice, paparazz e fufillone; faciul e alice sotto sale; secce e pagane fritt; gnucchitt nghi lu pest e li scamp; tagliatelle nghi lu sig di li secc aripiene; mbiete, secce e pagane; alice ndurate e fritt; spaghitt di mar e penne rigate nghi lu battut di sur.