CHETI- 6 milioni di tonnellate. E’ la quantità di cibo che viene prodotta in eccesso ogni anno in Italia a causa di etichette sbagliate, perché rimane invenduta o per problemi legati all’aspetto. Di questi, ben 5,5 finiscono al macero pur trattandosi di cibo buono. Cifre che, se accostate a quelle dell’Istat relative alla povertà ( in Italia sono 8,2 milioni le persone indigenti), fanno rabbrividire.
Sono solo alcuni dei dati contenuti nella ricerca “Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità”, condotta dal Politecnico di Milano e dalla Fondazione per la Sussidiarietà, in collaborazione con Fondazione Banco Alimentare Onlus e Nielsen Italia, presentata il 9 aprile all’università “d’Annunzio” a Chieti, in un convegno promosso dal Banco Alimentare dell’Abruzzo e Fondazione per la Sussidiarietà, con il sostegno del Csv Pescara e il patrocinio della Regione Abruzzo e dell’università “d’Annunzio” di Chieti-Pescara.
Eccedenza e spreco. Lo studio, primo nel suo genere nel nostro Paese, è stato realizzato dai docenti Paola Garrone, Alessandro Perego e Marco Melacini, quest’ultimo presente al convegno. Al centro del dibattito, la generazione dell’eccedenza nella filiera che comprende agricoltura e allevamento, industria di trasformazione, distribuzione, ristorazione, famiglie, e la frequente trasformazione in spreco.
“L’eccedenza – ha detto Melacini – viene generata per vari motivi: a monte, vi possono essere errori di previsione della domanda, difetti qualitativi che riducano il valore percepito del prodotto, anche in termini estetici, danneggiamenti nel packaging e così via. Oppure, nello stadio del consumo, vi sono comportamenti come la bassa frequenza della spesa, l’acquisto di confezioni non divisibili, gli acquisti di impulso. Non tutto lo spreco è semplice da recuperare, come nel caso dei pasti non consumati nella ristorazione che richiedono una gestione del tutto particolare, e così la ricerca analizza anche i diversi livelli di “fungibilità”, vale a dire di possibilità di riutilizzo”. Proprio laddove è possibile un recupero maggiore, come nel caso delle aziende di trasformazione, sono stati implementati sistemi di controllo più evoluti, anche se ancora oggi solamente il 35,3% dell’eccedenza è donato a food banks o enti caritativi sparsi sul territorio, mentre ancora un 32,2% di prodotti viene smaltito in discarica. I motivi alla base delle diverse scelte aziendali sono diversi: valutazioni economiche, rischi di immagine, modalità di generazione dell’eccedenza, carenze gestionali, caratteristiche degli operatori presenti sul mercato. La ricerca, infine, suggerisce alcune possibili evoluzioni: l’aumento della conoscenza delle caratteristiche e dei benefici delle pratiche virtuose di recupero, una maggiore collaborazione tra imprese e organizzazioni non profit nella ricerca di soluzioni, il sostegno degli attori pubblici a chi si impegna nella lotta allo spreco, e azioni indirizzate al miglioramento dei comportamenti del consumatore, invitandolo ad ottimizzare la propria spesa.
L’attività del Banco Alimentare. Nella nostra regione, la realtà che quotidianamente lavora con le imprese per recuperare cibo buono ma destinato al macero è il Banco Alimentare dell’Abruzzo, che fa parte della Rete nazionale dei Banchi Alimentari coordinata dalla Fondazione Banco Alimentare Onlus. L’anno scorso ha raccolto ben 1.521 tonnellate di prodotti, e li ha donati a migliaia di poveri mediante tantissimi enti convenzionati. Quest’anno, il Banco aiuta un numero davvero impressionante di persone indigenti in Abruzzo e Molise: ben 44.432 (38.254 in Abruzzo, 6.178 in Molise) mediante 252 enti convenzionati (211 in Abruzzo, 41 in Molise), cifre ancora una volta aumentate rispetto all’anno precedente, quando sono state assistite 38.829 persone (33685 in Abruzzo, 5.104 in Molise).
Gli interventi. All’incontro, moderato da Mauro Tedeschini, direttore de “Il Centro”, hanno portato il loro saluto Carmine Di Ilio, rettore della “d’Annunzio”, e Luigi Nigliato, presidente del Banco Alimentare dell’Abruzzo, mentre il Governatore Gianni Chiodi ha inviato un suo messaggio.
Dopo il professor Melacini è intervenuto mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, che citando sant’Agostino ha parlato di vanità e verità come categorie per comprendere anche la crisi. “Serve una nuova sobrietà – ha detto – perché consumiamo di più di quello che potremmo, e sprechiamo molto. Consumismo, dunque, è vanità, sobrietà è verità”. L’arcivescovo ha poi parlato dell’egoismo che si contrappone alla solidarietà che ha ispirato una grande opera come il Banco Alimentare, e infine dell’egocentrismo: “Dietro lo spreco – ha detto – c’è l’egocentrismo del disinteresse. Verità in questo caso è scelta di responsabilità etica. Sobrietà, solidarietà e responsabilità come nuovo stile di vita, per uscire da una situazione drammatica, aggravata anche da una classe politica irresponsabile, incapace di dare un governo all’Italia”.
La professoressa Anna Morgante, ordinario di Tecnologia dei cicli produttivi dell’Università “D’Annunzio” di Chieti-Pescara, ha ricordato come “lo spreco è immorale, in tutti i settori produttivi è possibile evitarlo, con grande beneficio anche dell’ambiente”.
Da parte sua, Mattia Perelli, direttore Ipermercato Auchan Pescara Aeroporto, ha raccontato come “stia cambiando l’approccio del consumatore, molto più attento. La grande distribuzione si sta avvicinando ai produttori locali, per minimizzare i costi e i trasporti, e si sta impegnando per recuperare il più possibile, ma ci sono variabili da considerare, come la sicurezza alimentare, che vanno integrate e valutate. Siamo all’inizio di un percorso che ci porterà certamente ad un miglioramento, anche in termini organizzativi e logistici”. Infine, Marco Lucchini, direttore generale Fondazione Banco Alimentare Onlus, ha ricordato che “questa realtà non nasce per risolvere tutti i problemi, che sono enormi. Piccoli passi costruiscono il bene di tutti. C’è una filiera agroalimentare, ma c’è anche una filiera della solidarietà. Rispondere a questo compito è il nostro compito. Noi come Banco facciamo in modo che la solidarietà possa funzionare al meglio. Io mi domando ogni giorno se per caso abbiamo fallito, visto che i poveri sono aumentati. No, non abbiamo fallito, ma abbiamo dato un contributo. Il cibo è un dono, che va rispettato, e che ci ricorda che qualcuno ci vuole bene. Il povero, così, si sente accolto. Tutti insieme possiamo fare ancora più strada insieme”.